Pubblichiamo il testo che abbiamo letto il 12 febbraio 2023 alla manifestazione “Animali urbani. Il mondo visto con lo sguardo di chi varca i confini”, che si è tenuta a Firenze in piazza Santa Maria Novella.
Qualche anno fa, nei primi giorni di gennaio, ci trovammo a partecipare a una manifestazione in Istria, lungo il Dragogna, il torrente che divide l’Istria slovena da quella croata. E’ un confine innaturale, che spacca una regione con una propria storia, un sentire comune, anche una lingua condivisa, o almeno un dialetto, un misto fra italiano, sloveno e croato. In quei giorni il governo sloveno aveva rafforzato il confine, che in qualche modo separava anche l’Unione europea dal resto del continente, visto che la Croazia al tempo non era ancora area-Schengen. Per la prima volta nella storia, lungo il Dragogna e poi nelle zone di montagna erano state stese temibili e alte reti di filo spinato, con lame taglienti, piuttosto spaventose.
Era una domenica mattina e da giorni venivano segnalate azioni di boicottaggio e disobbedienza civile contro il “muro”, circolavano on line manualetti di istruzioni per tagliare il filo spinato e consentire il passaggio alle persone umane e anche alle piccole persone, come Anna Maria Ortese chiamava gli animali non umani. Alla manifestazione quella mattina d’inverno eravamo tutti insieme, attivisti “no border” e per i diritti umani e attivisti animalisti e antispecisti. Proprio questi ultimi erano entrati subito in azione, perché gli animali selvatici erano stati le prime vittime del filo spinato. All’improvviso, avevano trovato ostruiti i passaggi abituali, loro che l’artificioso confine lungo il Dragogna non l’avevano mai preso in considerazione, e men che meno rispettato. Quella mattina, alla manifestazione, noi di Restiamo animali, pur arrabbiati e preoccupati per la scelta compiuta dallo stato sloveno per conto dell’Unione europea, ci sentivamo – da attivisti – perfettamente a nostro agio. Per noi, provenienti da esperienze di impegno politico e sociale nel movimento altermondialista, non c’era alcuna anomalia, alcun imbarazzo, nel mettere insieme la lotta animalista con quella politica e umanitaria.
Anzi, in quel momento ci era tutto ancora più chiaro. Chiaro che gli animali selvatici, in questa società chiusa, claustrofobica e manipolata, sono gli individui più liberi, forse i soli davvero liberi, e perciò vengono presi di mira così frequentemente. Perché ci ricordano, col loro esempio di vita, ciò che non siamo e invece potremmo e dovremmo essere: dei violatori di confini, dei refrattari all’ordine imposto, individui che si danno alla macchia in una società che costruisce recinti, tanto virtuali quanto materiali.
Viviamo in un paese, in un’Unione sovranazionale che sta costruendo muri su muri, rinnegando sé stessa. L’Europa è nata con la promessa di abbattere i confini, di prevenire le guerre attraverso la cooperazione fra stati e persone, di affermare solennemente, sulle macerie della prima e della seconda guerra mondiale, che tutte le vite umane valgono. Un principio scritto nero su bianco in tutte le costituzioni democratiche. Oggi quel principio è irriso e calpestato: lo vediamo coi muri che s’innalzano in ogni dove, coi migranti lasciati morire nel Mediterraneo e respinti ai confini orientali dell’Unione, con la guerra in Ucraina che si incrudelisce settimana dopo settimana e rischia di allargarsi rapidamente, fino a diventare la terza guerra mondiale per l’insipienza e l’irresponsabilità di classi dirigenti incapaci di affrontare le vere emergenze del nostro tempo, che sono emergenze di specie, perché gli ecosistemi del pianeta stanno rapidamente arrivando al collasso.
Gli animali selvatici oggi sono nel mirino perché sono corpi incontrollabili ma anche una potente metafora politica: sono l’archetipo dell’unica minaccia che i poteri costituiti intravedono; sono davvero liberi e non condizionabili, letteralmente non confinabili; sono l’imprevisto che scuote una società fiaccata dal consumo e dal falso ma imperante motto neoliberista TINA – there is no alternative, non ci son o alternative; sono individui proiettati nel futuro perché hanno conservato – e per loro non potrebbe essere altrimenti – ciò che le società umane del presente hanno perduto: il senso del limite, la capacità di convivere da pari a pari con tutti gli altri esseri viventi.
Ciò che ci serve, oggi, come persone umane, è dunque mescolarci alle altre specie, prendere ispirazione dagli altri animali e dalle piante, dai loro orizzonti di lungo periodo, mentre i sonnambuli che governano il mondo sono impegnati nel dividere gli umani fra “noi”, consumatori ricchi del Nord del mondo, chiusi in fortezze crudeli, antidemocratiche e sempre più armate, e “loro”, quelli che stanno fuori e che siamo disposti ad abbandonare anche alla morte, rinnegando e calpestando i valori che diciamo di affermare.
Poiché siamo ancora convinti, come diceva un vecchio slogan, che un altro mondo è possibile, il nostro impegno è oggi volto a sviluppare pensieri nuovi e azioni conseguenti: ci guardiamo intorno e sappiamo di avere tanti compagni di strada in tutto il mondo; è l’ora di osare e di gettare ponti fra le diverse lotte e le diverse prospettive, senza indugiare in secondari distinguo, sapendo che l’azione è trasformativa, cambia le persone, cambia i movimenti, cambia il modo di guardare il mondo. Cambia in meglio.
Ce lo hanno insegnato gli operai della ex GKN, è l’ora della convergenza ed è l’ora di unirsi sotto la parola d’ordine che fu già dei partigiani ormai ottanta anni fa: Insorgiamo.
La redazione di Restiamo animali
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