Nel Mediterraneo da qualche settimana naviga un’imbarcazione di soccorso intitolata a Louise Michel, l’insegnante e militante anarchica vissuta fra 1830 e 1905 di cui abbiamo parlato poche settimane fa. Ce ne occupammo per la speciale considerazione che Louise Michel, protagonista della rivoluzione parigina della Comune nel 1870, aveva per la condizione degli animali non umani, secondo una visione di precoce antispecismo, all’epoca davvero inconsueta. La Louise Michel è un’imbarcazione molto speciale per almeno tre motivi: per la missione che sta svolgendo, ovviamente, ma anche per chi la guida e per chi l’ha messa in mare.
La nave è nel Mediterraneo da poco tempo e ha già salvato oltre 200 profughi e migranti che altrimenti sarebbero finiti in fondo al mare o sarebbero tornati da dove erano venuti, i famigerati campi di prigionia allestiti in Libia, una specie di inferno in terra, come ormai è ben documentato.
La nave ha poi un armatore molto particolare, nientemeno che Banksy, uno dei maggiori artisti contemporanei, famoso per i suoi lavori sui muri e nelle metropolitane delle città di mezzo mondo. Banksy è un artista di strada e più volte, nelle sue opere, ha denunciato le ingiustizie più vistose del nostro tempo. E’ anche un uomo molto ricco, perché i suoi murales, quando possibile, vengono rimossi dalle pareti e venduti a carissimo prezzo. Stavolta Banksy – di cui nessuno conosce l’identità, si sa solo che proviene da Bristol in Inghilterra – ha deciso di concedersi uno… yacht molto particolare, appunto la Louise Michel, una barca di 31 metri appartenuta all’autorità doganale francese, modificata per essere utilizzata nel soccorso in mare e quindi messa in azione con dieci persone di equipaggio. Tutto a carico di Banksy, che ha firmato anche le decorazioni.
Al comando della Louise Michel, ecco il terzo motivo d’interesse, c’è Pia Klemp. Trentotto anni, tedesca di Bonn, a lei si è rivolta Banksy con una mail che Pia in un primo momento ha pensato fosse uno scherzo. “Ciao Pia”, c’era scritto, “ho letto la tua storia sui giornali. Sembri un tipo cazzuto. Sono un artista inglese e ho fatto qualche opera sulla crisi dei migranti e oviamente non posso tenermi i soldi. Potresti usarli tu per comprare una nuova nave o qualcosa del genere? Ottimo lavoro, comunque. Grazie. Banksy”. Non era uno scherzo.
Banksy è arrivato a Pia perché ne conosceva le recenti vicende, come comandante della Sea Watch 3, della Mare Jonio, della Juventa, tutte navi di soccorso attive nel Mediterraneo da tre anni a questa parte. Pia, per questa sua attività, è sotto inchiesta in Italia con l’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione calndestina, stesso reato cotestato a una sua famosa collega, Carola Rackete.
La storia di Pia è però cominciata prima del 2017, come ha raccontato lei stessa in un’intervista dell’anno scorso al mensile Una città, firmata da Simone Belci:
“Mi sono sempre interessata di protezione della natura e dei diritti degli animali, così mi sono unita all’organizzazione Sea Shepherd, che si occupa della difesa dei mari. Ho passato diversi anni in mare a lottare contro la caccia illegale alle balene nell’Antartico e contro la pesca illegale in Messico. In questo modo ho accumulato anni e miglia di navigazione e ho ottenuto tutte le licenze necessarie per diventare capitana. Poi a un certo punto mi sono resa conto di quante poche navi di salvataggio operassero nel Mediterraneo a fronte di quello che succedeva e ho fatto domanda per lavorare su una di queste navi. Grazie al cielo mi hanno presa quasi subito e dal giugno 2017 ho cominciato a lavorare sulla Iuventa”.
Ecco, questa continuità fra l’impegno a difesa degli animali e poi nella lotta per i diritti umani fondamentali, sarebbe certamente piaciuta a Louise Mochel, che può riposare tranquilla nel cimiterio di Levallois-Perret dov’è sepolta: il suo nome non è stato usurpato. E non sorprende che Pia Klemp abbia spiegato così al Guardian il suo operato: “Non considero il salvataggio in mare come un’azione umanitaria, ma come parte di una lotta antifascista“.
Nell’intervista a Una città Pia spiegava anche gli obiettivi di fondo del suo agire: “Io voglio che venga istituito un soccorso in mare statale, a cui prendano parte tutti gli stati europei. Ogni morto affogato nel Mediterraneo è una macchia per la dignità degli europei. E voglio che la guardia costiera libica venga fermata invece che finanziata, come succede ora. Nei campi di detenzione in Libia stiamo lasciando morire i diritti umani. Per questo è necessaria l’apertura di vie legali e sicure d’accesso all’Europa, di modo che a tutti sia garantito il diritto di inoltrare una domanda d’asilo. Non ci accorgiamo che i diritti che stanno andando a fondo là fuori sono i nostri diritti, perché se i diritti umani non valgono universalmente, allora non valgono più per nessuno. Sarebbe sufficiente che i paesi europei andassero a rileggere le convenzioni di cui sono firmatari, a partire dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, per rendersi conto che prestare aiuto alle persone in fuga è un nostro dovere”.
Pia Klemp per alcuni è un’importuna, un’estremista, un’attivista da mettere sotto inchiesta, per altri – noi fra questi – è una degli eroi del nostro tempo, un esempio da seguire.
di Lorenzo Guadagnucci
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