Una trentina di cani uccisi da polpette avvelenate a Sciacca, in Sicilia. Un episodio di sconvolgente violenza, commentato da Roberto Marchesini, etologo, pensatore, grande esperto di cani.
di Roberto Marchesini
Oggi stiamo assistendo a ciò che viene definito come “ruralismo”, ovvero l’idea che esistano dei valori rurali di difesa della terra e che questa sia uno spazio privato da usufruirne a proprio piacimento secondo la massima “padroni a casa nostra”. Il ruralismo ricorda il movimento Strapaese del ventennio fascista che evocava in maniera apologetica l’attività agricola e il mondo venatorio. Ma il ruralismo e cultura rurale non hanno nulla in comune: il mondo rurale si basava su una totale autosufficienza del territorio, non era certamente un mondo fondato su globalizzazione, consumismo e individualismo; era un mondo che rispettava le stagionalità, dove gli animali erano sicuramente sfruttati ma tuttavia la loro presenza era integrata nella convivenza con l’uomo.
Il ruralismo ha dichiarato guerra all’ambiente e in modo particolare agli animali mettendo in atto le sue rappresaglie attraverso massicci avvelenamenti. I lupi non solo vengono uccisi (vedi il lupo ucciso a Loiano in provincia di Bologna due giorni fa con un colpo dritto al cuore), ma i loro cadaveri vengono esposti come trofei. È necessario denunciare in maniera chiara quello che sta succedendo, denunciare che non si tratta di fattori isolati tra di loro, poiché da almeno cinque anni stiamo assistendo a una guerra nei confronti dei grandi carnivori (lupi, orsi, volpi) e di tutte quelle specie che entrano in concorrenza con i cacciatori sulle stesse prede target; la strategia è di eliminare i predatori per poi poter dire che caprioli e cinghiali sono in sovrannumero, che diventano “nocivi” e avere così la scusa per allungare la stagione venatoria e attuare abbattimenti selettivi e spedizioni per avvelenare animali in grande numero e in poco tempo.
Questo desiderio di rievocare alcune prassi del passato ai giorni nostri ha l’aggravante di non avere più la capacità di convivere con gli animali, con il bosco, con un ambiente che non sia totalmente controllato dall’uomo: nemmeno in agricoltura è più ammessa la naturalità, il “non controllo”, così non ci sono più filari arborei, siepi, luoghi lasciati incolti, non ci sono più tutte quelle plusvalenze che la cultura rurale aveva e grazie alle quali promuoveva la biodiversità. È un atteggiamento molto pericoloso, perché è ormai palese che una simile cultura è la porta aperta a comportamenti fuori controllo pericolosi per tutta la comunità, umana e non umana.
Un caso eclatante è quello della strage di cani a Sciacca: si tratta dell’esito di scelte istituzionali politiche scellerate sul tema randagismo che, non agendo con coerenza e non affrontando il problema a 360 gradi, proclama la messa a morte dei cani in un susseguirsi di violenza senza fine. La legge della Regione Sicilia n.15 del 2000 sul tema del randagismo, in seguito anche al decreto del 3 novembre 2017 dell’assessore alla salute della Regione Sicilia recepito e attuato dal primo febbraio 2018 dal Comune di Agrigento, è un esempio lampante di questa incompetenza istituzionale legata a doppio filo con l’esercizio della violenza senza controllo contro gli animali: non si parla di canili sanitari, non si parla di sterilizzazioni a tappeto, non si parla di istituzionalizzare i servizi di cattura tramite personale e mezzi di trasporto appositi, no, ci si limita a vietare che il privato cittadino scenda in strada a sfamare una quantità di cani che giorno dopo giorno subiscono aggressioni di ogni tipo per poi morire di morte violenta. Istituzioni strategicamente inesistenti da una parte e, dall’altra, anche troppo presenti con la loro ignoranza e incompetenza a scendere a patti con le lobby della distruzione, dato che distruggere è il verbo preferito da questa cultura, hanno coltivato l’odio nei confronti di animali e ambiente e, a quanto sembra, senza mai nemmeno il minimo dubbio che si tratti di una politica suicida per l’uomo.
Discussion
No comments yet.