Annamaria Rivera, antropologa e attivista, amica di Restiamo animali, ci ha inviato questo testo in memoria di Nina, che ha lasciato questo mondo il 1° ottobre scorso. Ciao Nina.
———————————————
In memoria di Nina, gatta munifica, coraggiosa e altera
Non aveva avuto un’infanzia facile, Nina, soriana dal pelo grigio–scuro tigrato, dai grandi occhi verdi, dallo sguardo acuto e intenso. Era stata abbandonata da qualcuno nei bei giardini comunali di Sutri: forse chiusa in un sacchetto di plastica e gettata in un cassone d’immondizia. Una volta riuscita a liberarsi, era saltata nel piccolo alloggio a pianterreno – lì, nei giardini – di una coppia di nostri amici, per infilarsi giusto nel loro letto. Poco dopo era stata affidata a noi due, che l’avevamo accolta ben volentieri, pur convivendo già con quattro felini.
Nina era una gatta femminista, si potrebbe dire indulgendo all’antropomorfismo. Obbligata, negli anni più recenti, a condividere la nostra casa romana con quattro gatti maschi (una morte dopo l’altra, le femmine se n’erano andate), li teneva a distanza con grande fermezza e si difendeva tenacemente dalle avance di uno di loro: ben più giovane e alquanto libidinoso, sebbene sterilizzato come gli altri.
Per Nina l’amico più caro era un umano, quello che, insieme a me, l’aveva accolta in casa. Lo aveva prescelto fin dal primo momento, instaurando con lui, nel corso del tempo, una relazione quasi simbiotica: pretendeva e otteneva di dormirgli addosso; di farsi accompagnare ogni giorno, a sera tarda, in una passeggiata lungo le scale della palazzina; perfino di sedere, durante i nostri pasti, sulla tavola imbandita per farsi servire da lui. In fondo, era stata lei a decidere regole e rituali della loro profonda amicizia.
Ma la vera peculiarità di Nina erano i doni. Forse sublimando – per così dire – la pratica della caccia, ogni giorno andava lungamente alla ricerca di oggetti da portare in regalo: soprattutto a noi, ma anche a ospiti che le andassero a genio. Così saliva su scrivanie, tavoli, scaffali a prendere tra i denti ora una penna, ora una matita, ora un piccolo soprammobile. Ma non solo: una volta la scorgemmo avanzare nel corridoio reggendo in bocca, in perfetto equilibrio, un lungo cacciavite, assai pesante, che il suo sodale umano aveva utilizzato poco prima e dimenticato da qualche parte.
Il rituale del dono si accompagnava con peculiari miagolii prolungati, diversificati secondo la fase della ricerca e quella dell’offerta.
La sua vocazione al dono, Nina l’ha praticata anche quand’era ormai segnata dalla malattia: un’istiocitosi cutanea maligna, i cui nodi e placche, per di più tendenti a ulcerarsi, si estendevano progressivamente lungo il collo, il capo, l’inizio del dorso. A una patologia così devastante, dalla prognosi infausta e dal decorso solitamente assai rapido, Nina ha opposto una resistenza tenace, durata un anno e mezzo. E ha reagito nel modo migliore a ben otto cicli di chemioterapia.
Infine, sopraffatta dalla malattia, ormai incapace di mangiare, bere, respirare, è morta per eutanasia, nel nostro e suo appartamento, il 1° ottobre del 2017, in un nuvoloso mattino domenicale. Aveva quattordici anni. Le sue ultime due notti, le aveva trascorse sdraiata sul petto del suo adorato compagno umano, che l’aveva vegliata teneramente.
Annamaria Rivera
Che grande personalità, Nina, immagino il vuoto che ha lasciato, incolmabile e insostituibile. Ricorda un po’ la mia Emma, anche lei mi ha lasciato dopo una breve incurabile malattia a soli 14 anni nel 2003. Anche lei molto legata al suo compagno umano, e dopo la sua dipartita nel 2002 si è ammalata e l’ha seguito nel giro di pochi mesi. Che grande dolore per le due perdite!
Amin