(sotto l’audio dell’intervista)
L’appello di scrittori, intellettuali e naturalisti #salvaiselvatici ha chiesto alla Regione Toscana di fermare l’iter della Legge Remaschi e di impostare la discussione sul “caso ungulati” su basi nuove e più credibili, spezzando il legame troppo stretto con il mondo venatorio. La richiesta è di privilegiare un’opzione non cruenta, che rispetti quindi la dignità degli animali, la crescita nella società di un’etica non violenta e porti a un equilibrio di lungo periodo, fuori dalla logica fallace dell’emergenza.
Per impostare un piano d’intervento coerente e in grado di fornire soluzioni stabili, è necessario disporre di un censimento vero delle popolazioni di ungulati, in modo che gli interventi non siano generici e casuali, come invece avviene quando si opta per la soluzione – solo apparentemente ovvia – della carneficina di massa.
L’ecologia indica che il numero di animali in una certa area ha un limite nella cosiddetta capacità portante, cioè la disponibilità di cibo, acqua, tane; il numero è quindi legato alle condizioni concrete di sussistenza. Più cibo è presente, più animali ci saranno (ferme restando altre variabili comporamentali).
I danni denunciati dagli agricoltori sono una costante di tutte le situazioni di convivenza con gli animali selvatici e si possono affrontare con strumenti come le protezioni fisiche delle coltivazioni; i dissuasori; la creazione di corridoi selvatici che favoriscano gli spostamenti e le migrazioni; la protezione delle strade con dissuasori e altri accorgimenti; i risarcimenti dei danni effettivamente compiuti. E’ quel che avviene ovunque, a meno che non si voglia pensare a un mondo senza animali, a un’eradicazione completa di intere specie, cioè a una guerra totale agli animali e alla natura. Più le coltivazioni saranno protette, più bassa sarà la capacità portante.
Gli abbattimenti di massa non elimineranno i danni all’agricoltura; la popolazione di ungulati si riformerà in breve tempo, come dimostrato dalla caccia di selezione praticata inutilmente ogni anno; nel frattempo, avremo boschi militarizzati e tutto resterà come prima: non è questo l’interesse della collettività.
L’INTERVISTA CON MAURO DELOGU
Esistono alternative alla strada scelta dalla legge Remaschi, una strada che appartiene al passato della gestione della fauna selvatica; il futuro, come spiega nell’intervista disponibile in podcast, Mauro Delogu, responsabile del Servizio fauna selvatica ed esotica dell’Università di Bologna. Le modalità non cruente (anche se non escludono del tutto gli abbattimenti) costuiscono la strategia più efficace nel lungo periodo, perché garantiscono risultati stabili e una relazione fra l’uomo, l’ambiente e le altre specie meno distruttivo dell’approccio tradizionale, fatto di ricorrenti campagne di abbattimento di massa (come quella emergenziale prevista dalla Regione Toscana).
Delogu in questa intervista dice fra l’altro:
- che gli abbattimenti di massa appartengono al passato delle tecniche di gestione della fauna selvatica;
- che è possibile gestire tecnicamente la popolazione di cinghiali con tecniche “sperimentali”, cioè nuove;
- denuncia le politiche di immissione-abbattimento, strumentali alle attività venatorie;
- che le modalità non cruente sono le uniche che possono davvero funzionare nel medio periodo;
- che le scelte politiche sono condizionate da troppi inconfessati interessi, anche economici;
- che almeno il 25% dei cinghiali oggi presenti nei boschi sono ibridi (più prolifici), frutto delle immissioni clandestine attuate dal mondo venatorio;
- che la strategia più efficace, per diminuire e stabilizzare la presenza di ungulati, è l’immunocontraccezione (diversa dall’uso dei progestinici nel cibo usati ad esempio per i piccioni, che porta a effetti indesiderati su altre specie), già praticata all’estero con successo;
- che la creazione di filiere della carne selvatica, prevista dalla legge Remaschi, è stata sempre un fallimento: comincia con l’idea di smaltire gli animali morti in surplus e si trasforma in un sistema permanente da alimentare in ogni modo (anche con nuove immissioni di animali da cacciare).
Consigliamo di ascoltare l’intervista con Mauro Delogu: emerge la complessità della questione e la necessità di affrontarla con strumenti moderni, a prescindere da quegli interessi costituiti (a cominciare dalle aspettative dei cacciatori) che hanno portato finora ad affrontare la questione con soluzioni finali predeterminate.
Una strada diversa è possibile e sarebbe giusto discuterne.
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