Jo-Anne McArthur, fotoreporter nota in tutto il mondo, protagonista del documentario d Liz Marshall “The ghosts in our machine”, ha realizzato negli ultimi anni un ambizioso progetto – “We Animals” – che l’ha portata in decine di Paesi. Ha fotografato la condizione animale nel mondo, dagli allevamenti piccoli e grandi ai mercati, dagli zoo ai rodei, dai circhi ai rifugi. Dal progetto è scaturito un libro appena tradotto in italiano dall’editore Safarà, “Noi Animali – We Animals”. Jo-Anne è in Italia per presentare il suo libro (alla fine dell’intervista l’elenco degli appuntamenti). Le abbiamo fatto alcune domande.
Jo-Anne, “Noi animali” significa che tutti noi – esseri umani inclusi – siamo animali?
Sì, penso che noi ci dimentichiamo che siamo tutti animali. Noi esseri umani siamo davvero in cima alla proverbiale catena alimentare, ma questo non vuol dire che i non-umani debbano essere trattati come individui “al di sotto” di noi, come esseri “minori”. “Noi animali” significa che anche noi siamo animali, e che siamo tutti collegati, poiché siamo tutti esseri senzienti. Tutti proviamo la felicità, il dolore e tante emozioni complesse. E, essendo vivi e senzienti, tutti noi abbiamo il desiderio di essere chi siamo, e il desiderio di vivere.
Qual è lo scopo del tuo progetto, We Animals? A chi si rivolge? Politici? Scrittori? Gente comune?
Ho capito qualche tempo fa che c’erano pochissime storie sugli animali che utilizziamo nella nostra società. Vediamo un sacco di fotografie naturalistiche, c’è una grande quantità di immagini di “pet”, i nostri animali domestici, ma gli animali che usiamo e uccidiamo a miliardi ogni anno restano nascosti. Lo scopo di We Animals è quello di rendere visibili questi animali. Vivono dietro le porte e le recinzioni di allevamenti intensivi, allevamenti, laboratori di ricerca. Solo se riusciamo a vedere questi animali, le condizioni in cui vivono, potremo iniziare a capire il problema e cominciare un cambiamento.
Il mio pubblico sono le persone in cerca di conoscenza su questi temi, ma le immagini sono ampiamente utilizzate da associazioni animaliste per i loro progetti, così le immagini sono viste da molte persone. Dopo 12-15 anni, le immagini di We Animals sono state condivise ampiamente, dalle associazioni animaliste all’editoria al mondo accademico. L’obiettivo è raggiungere un pubblico non animalista, e questo può essere difficile. I giornali sono spesso preoccupati di turbare i loro lettori. Guardare le crudeltà compiute sugli animali è anche guardare noi stessi e la nostra complicità in quelle crudeltà. E’ una cosa che disturba le persone e immagino che possa essere considerato pericoloso decidere di pubblicare questo tipo di storie.
Pensi che qualcosa stia cambiando nella condizione degli animali?
Le cose sembrano andare sia meglio sia peggio. Da un lato c’è la nascita di grandi allevamenti nelle economie in crescita come la Cina e l’India, dall’altro il vegetarismo è in aumento. Le cose non stanno migliorando abbastanza velocemente, ma dovremmo riuscire a vedere la fine di alcune delle attuali pratiche di allevamento, grazie all’etica e alle preoccupazioni per l’inquinamento e i cambiamenti climatici. Credo che nell’arco della mia vita, riuscirò a vedere la fine delle fattorie della bile, e forse anche dei rodei e delle corride. Vedremo anche la fine dell’utilizzo degli animali nei circhi. Mi auguro che finisca presto anche l’allevamento degli animali da pelliccia, ma questa industria è molto abile, riesce a reinventarsi in modo da non passare mai di moda e così controlla la vita di miliardi di visoni, volpi, procioni, conigli, cincillà. E’ così volubile e così inutile.
Sei vegetariana o vegana? Come hai cominciato?
Sono diventata vegetariana circa 15 anni fa, e vegan 12 anni fa. Ho lottato con l’idea che il veganismo fosse davvero estremo, poi mi sono rapidamente resa conto che l’uccisione di miliardi di animali è molto più estrema, e che in realtà è abbastanza facile vivere e stare bene senza consumare prodotti di origine animale. Soprattutto nei paesi ricchi come i nostri, nei quali è abbastanza facile mangiare in modo sano e ci sono molte alternative alla carne e ai latticini. C’è una citazione che mi piace e condivido spesso. E’ il motto di un rifugio in Australia, “Edgar’s Mission”, e dice semplicemente: “Se possiamo vivere una vita felice e sana, senza danneggiare gli altri, perché non farlo?”
Che cosa significa per te “liberazione animale”?
Beh possiamo prendere questa espressione letteralmente, significa liberare gli animali, e c’è una lunga storia di questo tipo di attività in Europa. Le liberazioni cambiano la vita di coloro che vengono liberati. Quando parlo delle liberazioni, però, tendo a sottolineare l’apertura che avviene nelle nostre menti in merito al trattamento che riserviamo agli animali, alla loro natura di esseri senzienti, un’apertura che, passo dopo passo, porta all’emancipazione di un numero sempre più grande di animali. Se gli animali non vogliono essere messi in gabbia per tutta la vita per essere poi uccisi, allora io credo che non abbiamo il diritto di decidere per loro. Sogno un mondo nel quale non schiavizziamo gli animali a nostro vantaggio.
Pensi che le immagini cruente di sofferenza degli animali, favoriscano il cambiamento della percezione? Non c’è il rischio che le persone si allontanino?
Certo, le immagini più cruente allontanano molte persone, ma altre si avvicinano e si fermano a guardare. Io cerco di usare quelle immagini con parsimonia e per ottenere effetti specifici. Il libro We Animals non contiene molte immagini di quel tipo, e cerca di essere più sottile. Ma io ho scattato migliaia di immagini in tutto il mondo di animali brutalmente abusati, e sono immagini che hanno circolato in molti modi. Ho visto persone cambiare le loro abitudini di consumo sulla base di quelle immagini. Ogni giorno ricevo email di ringraziamento da parte di persone che descrivono le immagini che hanno visto in We Animals e che dicono di avere cambiato le proprie scelte e comportamenti a causa di quelle immagini. E spesso sono immagini di crudeltà e di tristezza. Ma a volte per cambiare il punto di vista di certe persone ci vogliono immagini positive, di animali salvati dallo sfruttamento, di animali felici. C’è spazio, in questo movimento, per entrambi i tipi di immagini.
C’è una foto che ti è particolarmente cara e significativa per te?
L’immagine del coniglio che aspetta il suo turno di macellazione. E’ un’immagine che “funziona”, perché collega intimamente con l’animale, e mostra anche il quadro più ampio, la condizione in cui si trova l’animale e ciò che si appresta a vivere.
Qual è la foto che ti ha fatto soffrire di più?
Non c’è un’immagine che mi abbia fatto soffrire più di altre. Ogni volta, è stato molto difficile lasciare gli animali alle mie spalle; purtroppo ho dovuto farlo. Ho incontrato centinaia di migliaia di animali in tutto il mondo. Non ho potuto liberarli, ma li tengo con me, nel mio cuore, e il loro ricordo mi spinge a proseguire nel mio lavoro, con un senso di maggiore urgenza.
E ‘ vero che gli animali guardano il fotografo negli occhi?
Credo che gli animali, in generale, guardino negli occhi. Come del resto facciamo anche noi, guardandoci in faccia. Suini, scimpanzé, tacchini, ratti… tutti noi ci guardiamo l’un l’altro con meraviglia e curiosità, non è così?
Credi che le fotografie possano cambiare il mondo? O, almeno, l’opinione della gente?
Certamente. Al 100%. E’ questa convinzione che spinge i fotogiornalisti a fare ciò che fanno. In questo periodo sono stata in Francia, a Perpignan, al Festival del fotogiornalismo. C’erano migliaia di altri fotografi e reporter, tutta gente che cerca, con un certo successo, di cambiare il mondo, una fotografia dietro l’altra.
Secondo la tua esperienza, c’è un Paese al mondo nel quale la condizione animale è migliore rispetto agli altri?
In vari paesi ci sono leggi di tutela animale in via di miglioramento, ma l’applicazione è il vero problema in tutto il mondo. Sì, ci sono paesi nei quali le condizioni degli animali sono migliori, almeno per certi aspetti, ma, sinceramente, gli animali sono perseguitati in tutto il mondo. Ci sono allevamenti industriali in tutto il mondo. C’è caccia sportiva ovunque. La perdita dell’habitat naturale è in corso in tutto il mondo. Perfino le balene, nei santuari marini dove dovrebbero essere protette, continuano ad essere cacciate. Devono avvenire grandi cambiamenti, velocemente, se vogliamo proteggere gli animali non umani, in tutti i continenti, in ogni paese.
Perché hai dedicato una sezione del libro agli animali ospiti di rifugi?
Ho deciso di dedicare la parte finale del libro, con esempi di atti di compassione, di salvataggio e con immagini scattate nei rifugi. In queste immagini c’è la speranza, e la condivisione di queste storie fornisce ispirazione agli altri. Chiunque può fare qualcosa per aiutare gli animali, sia attraverso un impegno politico, o attraverso l’educazione, o il volontariato nei rifugi, o ancora aiutando nel trasferimento degli animali salvati, o comunque impegnandosi per creare il cambiamento. Il mio prossimo libro si chiama “Unbound: Donne in prima linea per di difesa degli animali”. E’ un libro sul cambiamento e su chi crea il cambiamento. Sono storie di speranza, che saranno di ispirazione per tanti nuovi attivisti e per nuove persone che faranno buone azioni. Abbiamo bisogno di sperare. Ci sono molte ragioni per essere fiduciosi. Miliardi di ragioni.
APPUNTAMENTI CON JO-ANNE MCARTHUR
– 15 settembre a Firenze (ore 18.30Saloncino delle Murate, Via dell’Agnolo 1/A), relatore Lorenzo Guadagnucci (Quotidiano.net) autore di“Restiamo Animali”, in collaborazione con Essere Animali
– 16 settembre a Roma (ore 19 Margutta Veg Ristorante, via Margutta 118), relatore Simone Sbaraglia, fotografo naturalista, in collaborazione con LAV
– 18 settembre a Milano (ore 18.30 presso Lombardini22, via Lombardini 22), relatrice Silvia Amodio, fotografa e giornalista, in collaborazione con Essere Animali
– 20 settembre a Pordenonelegge.it (ore 11.30 ex Convento di San Francesco, Pordenone), relatore Roberto Marchesini, filosofo ed etologo
– 21 settembre a Mestre (ore 18, al ristocaffè libreria Open, via Paganello 8), relatrice Macri Puricelli, giornalista (blog di D Repubblica)
– 22 settembre (ore 18.30 presso la Libreria Lovat di Villorba (Treviso), relatore Adriano Fragano, fondatore di Veganzetta, in collaborazione Associazione Eco Filosofica
– 23 settembre a Pordenone, ore 20.45,proiezione presso Cinemazero del pluripremiato documentario “The Ghosts in Our Machine” di Liz Marshall, opera che vede protagonista la fotoreporter canadese.
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