Settignano – 4 Dicembre 2014 – presentazione del libro “Penne e Pellicole” di Massimo Filippi ed Emilio Maggio –
Il rapporto tra società umana e gli altri animali nella letteratura e nel cinema.
Relatori: gli autori del libro. Conduce: Lorenzo Guadagnucci della trasmissione Restiamo Animali.
Resoconto di Sabrina Parretti
Come consuetudine, dopo un’ottima cena vegana in cui si distinguevano l’ottimo “primo” a base di orecchiette alle cime di rapa e, “dulcis in fundo”, lo straordinario strudel di mele, i commensali si spostano al piano di sopra dove, verso le ore 22,00, inizia l’incontro.
Introduce l’argomento Lorenzo Guadagnucci della redazione di “Restiamo Animali” che chiede a Massimo Filippi, professore di Neurologia presso l’Ospedale S.Raffaele di Milano, una sua sintesi del libro.
Interviene Massimo, dicendo che quest’ultimo libro è la naturale prosecuzione del precedente “Crimini in tempo di pace” che era quasi una sorta di “dialogo con gli animali. In questo invece vi sono tutta una serie di figure animali che ci fanno assumere prospettive diverse rispetto alla nostra usuale. Sottolinea un primo aspetto: non è un libro sistematico ma una serie di frammenti, di momenti di luce sulla vita degli animali, dei loro mondi inesplorati, di cui non sappiamo nulla. Altro punto: non è un libro sugli animali ma è una sorta di “documentario naturalistico” che, a differenza dei soliti documentari che mostrano quasi sempre solo storie di predazione, ci mostra anche altri aspetti della vita animale. In giro ci sono molti libri che, con atteggiamento “paternalistico” parlano al posto degli animali; questo libro invece vuole provare a parlare con gli animali, restituendo al rapporto con gli animali la peculiarità di un rapporto con esseri che parlano un’altra lingua dalla nostra.
Lorenzo introduce l’altro autore, Emilio Maggio, chiedendo di spiegare la copertina del libro.
Emilio inizia definendosi un “cinemologo” e spiega che quella copertina è una sua provocazione, l’immagine di Rin Tin Tin, animale celebrato per eccellenza, e che è una completa idealizzazione umana. All’autore interessa la rappresentazione dell’animale nel cinema, dove l’animale è stato elemento fondante, il primo soggetto rappresentato da proto-registi, così come primo elemento lo era stato nella rappresentazione artistica.
A questo proposito, introdotto da Emilio, viene proiettato il 1° spezzone di film: “Cave of the forgotten dreams” che è un documentario realizzato nel 2010 dal regista Werner Herzog e rappresenta la grotta Chauvet, nella parte meridionale della Francia, famosa per le sue pitture rupestri, dipinte nella parte più profonda della caverna. Il regista è riuscito ad avere le autorizzazioni per accedere alla grotta. Sono pitture di 30-40 mila anni fa, nell’alto paleolitico; i soggetti sono animali, quelli che l’ “homo sapiens” di allora incontrava nel quotidiano. In quel tempo c’era ancora considerazione e rispetto per l’animale. Su questo film sono state dette fatte delle supposizioni in merito alla sua autenticità.
Interviene Massimo che fa notare la potenza che emanano queste immagini di animali. Il libro non parla solo di momenti brutti della vita animale ma di vari aspetti. Cita il libro “Fisica della malinconia” di Gospodinov Georgi, in cui immagina le riprese fatte in un macello come se la pellicola girasse all’ incontrario e, dall’animale macellato, potesse ricostituirsi l’animale vivo e intero.
Viene poi proettato il 2° spezzone di film: “The Lumiere brothers” (L’uscita dalle officine Lumiere) che rappresenta la nascita ufficiale del cinema. Emilio ci fa notare che questo film mostra come funzionerà la macchina da presa: essa riprende soggetti “docili” e già da qui si vede che ci sono delle gerarchizzazioni. In questo spezzone si vedono uscire degli operai dalle officine di proprietà dei fratelli Lumiere e poi alcune donne, dei cavalli e due cani che tagliano diagonalmente la scena e che sembrano divertirsi. Cita poi l’episodio del libro in cui un ebreo si accompagna a dei cani; viene raggiunto dal delatore nazista con il bastone alzato per colpirlo ma i cani, vedendo il bastone, cercano subito di giocare. Fa notare questo aspetto e cioè che gli animali, quando non sono oppressi e torturati dall’uomo, sono “inoperosi” non nel senso stretto di non fare niente ma nel senso che cercano il gioco, si divertono.
Sempre introdotto da Emilio, viene proiettato il 3° spezzone di film: “Elettric the elephant”, attribuito a Thomas Edison che riproduce la messa a morte dell’elefantessa Topsy, mediante potentissima scarica elettrica, perchè si era ribellata ai suoi domatori.
Osserva Massimo che in queste sequenze c’è un aspetto morboso, trash, come nella pornografia, rende al massimo l’aspetto di sfruttamento dei corpi degli animali, trattati come oggetti all’interno del sistema delle merci in cui viviamo.
Viene proiettato il 4° brevissimo spezzone di film in cui si vede un cavallo al galoppo. Emilio spiega che è un esperimento di crono-fotografia (foto scattate in sequenza e poi montate in successione). Il cavallo più di ogni altro animale è stato oggetto di riprese, molto nei film western o di guerra.
Ancora introdotto da Emilio, viene proiettato il 5° spezzone di film: “Gli spostati”, del 1961 di John Huston, ultimo film con Marylin Monroe. Si vedono che vengono cacciati i cavalli mustang che vivevano liberi nel Nevada. Gli uomini hanno immobilizzato una cavalla, con puledro al seguito, e fanno i conti di quanto se ne può ricavare dalla loro carne. La donna, sdegnata da tanta crudezza, si allontana urlando che sono solo dei macellai, sanno solo uccidere. Viene tacciata dagli uomini come ingrata e isterica. Questo film è stato un film importante ed ha dato modo a Marylin di esprimersi molto, sia come attrice, sia come animalista quale era. Questo film ha avuto un seguito particolare: nei pochi anni seguenti sono morti tutti gli attori protagonisti.
Interviene Massimo facendo osservare che qui c’è una gerarchia dei perdenti: prima vengono gli uomini (forti, rudi), poi la donna (isterica), infine i cavalli (prede). L’uomo è al centro dell’universo, in particolare con determinate caratteristiche: maschio, sano, bianco, eterosessuale, magari ricco.
Viene proiettato il 6° spezzone di film: “War horse” (Cavallo di guerra), del regista Steven Spielberg. Si vede l’immagine di un cavallo che corre all’impazzata in un terreno di guerra, fra mine che esplodono, dentro le trincee e che, infine rimane impigliato e immobilizzato nel filo spinato del campo. Qui c’è una grande umanizzazione dell’animale che viene mostrato come un “eroe”.
Qualcuno del pubblico domanda se, per girare queste scene, il cavallo ha subito tutta la serie di violenze che si vedono. Emilio risponde di no, che in America l’associazione protezionista Peta è molto forte, è riuscita addirittura a bloccare la produzione di un serial dove sul set erano morti alcuni animali.
Viene proiettato il 7° spezzone di film, la sequenza finale di “Au hasard Bathazar”, del 1966, del regista Robert Bresson. Questo film rappresenta uno spartiacque: per la prima volta nel cinema il protagonista assoluto è un asino e la storia è raccontata attraverso le vessazioni che l’animale subisce da parte degli umani. Il film mostra l’aspetto negativo della mentalità umana, per cui il dono della vita è quasi una sorta di “ricatto”: l’animale si fa nascere, lavorare, morire.
Massimo commenta che il finale di questo film è molto struggente: ci mostra la capacità dell’animale di morire con dignità ed anche il capannello di pecore intorno a lui morente è un quasi una sorta di “celebrazione” della vita. Di seguito Massimo legge un piccolo brano tratto da un libro in cui l’autore osserva una salamandra, animale tanto diverso da lui, e osservandola con tanta intensità finisce quasi per immedesimarsi in lei, in una sorta di “spazio di indistinzione“.
Il conduttore Lorenzo chiede ai due autori qual è la cosa (libro, film, ecc.) che più si avvicina alla loro visione del rapporto uomo-animale.
Emilio risponde che lo è il film “Adieu au langage” recente film di Jean-Luc Godard. Afferma la sua intenzione di non trattare films “animalisti” e di apprezzare films come questo, dove c’è la voglia di “smarcarsi” dalla visione antropocentrica.
Massimo risponde che per lui lo è tutta l’opera di Vasilij Grossman, giornalista dell’armata rossa che arrivo ad Auschwitz il giorno della sua liberazione, il 26 gennaio 1945. Racconta un breve brano dell’opera di questo autore: la storia di una femmina d’alce uccisa senza pietà da un cacciatore che, della sua testa, ne fa un trofeo per il proprio salotto. Quando dopo tanti anni il cacciatore in quella stanza muore con sofferenza, il racconto dice che la testa dell’alce, assistendo alla scena, si inumidisce di lacrime, a testimonianza della maggiore sensibilità dell’animale.
L’incontro termina alle ore 23,30.
In sala sono esposte alcune copie del libro oggetto della presentazione e di altri libri a tema, a disposizione di chi voglia acquistarle.
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