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Non più oggetti, bensì “esseri viventi dotati di sensibilità”: il codice civile francese finalmente cambia e la definizione giuridica degli animali si mette al passo coi tempi, almeno sul piano strettamente formale. Pochi giorni fa l’assemblea nazionale francese ha approvato un emendamento che dà uno statuto giuridico più degno agli animali non umani, finora equiparati alle cose dal codice napoleonico che risale al 1804, più di due secoli fa.
E’ certamente una buona notizia, che riflette in termini legislativi ciò che sta maturando nella società, ma è una norma timida e zeppa di contraddizioni e quindi è utile soprattutto perché fornisce un’occasione per riflettere – è quel che sta avvenendo in questi giorni in Francia – su qual è lo stato reale della relazione fra le nostre società e il mondo animale, il quale non è un universo indistinto e che anzi è sottoposto a un regime di considerazione morale e di trattamento giuridico differenziato su basi, potremmo dire, razziali. In alto gli animali domestici, negli scantinati quelli destinati all’alimentazione umana e alla sperimentazione scientifica. In mezzo tutti gli altri, con gradi diversi di sfruttamento.
La nuova norma francese segue una mobilitazione in corso Oltralpe da tempo, promossa dalla Fondazione animalista “30 millions d’amis” e sostenuta con un appello che fece un certo rumore qualche mese fa da un gruppo di intellettuali prestigiosi e di variegata estrazione politico-culturale.
Per quanto la mobilitazione sia in corso da tempo, l’approvazione della norma sugli animali come “esseri viventi dotati di sensibilità” ha colto tutti di sorpresa. Pareva infatti che la proposta di creare uno status ad hoc per gli animali, qualificandoli come qualcosa d’altro rispetto alle cose e agli umani, fosse stata accantonata. E all’improvviso ecco l’emendamento presentato da un deputato socialista, Jean Glavany, e la sua approvazione nell’ambito di un provvedimento legislativo dedicato a tutt’altro: e qui sembra d’essere nelle cronache parlamentari italiane, con le norme sul femminicidio inserite nella stessa legge che rivaluta il patrimonio della Banca d’Italia…
Diciamo subito che la portata dell’emendamento è in fondo modesta. Lo ha spiegato lo stesso Glavany: “Abbiamo armonizzato il codice civile con quello rurale e quello penale”, ha spiegato, codici che già prevedono norme di tutela degli animali, differenziandoli di fatto dalle cose. Sempre Glavany ha spiegato al quotidiano Le Monde che il progetto di creare uno status ad hoc per gli animali è stato accantonato per la difficoltà di valutare tutte le conseguenze giuridiche che avrebbe comportato: “Avremmo dovuto affrontare – ha spiegato il deputato – i cacciatori, gli allevatori, i sostenitori della corrida. Gli animali in questo senso restano di fatto degli oggetti, ma abbiamo fatto un primo passo”.
Ecco lo snodo chiave. La prudenza politica ha indotto i socialisti a scansare le prevedibili proteste di chi sfrutta o utlizza gli animali e i possibili effetti a catena che un cambiamento giuridico più netto avrebbe prodotto. E’ il motivo per il quale la Fondazione Brigitte Bardot ha detto che la nuova norma non comporta alcuna rivoluzione per gli animali e purtroppo non mette in discussione lo sfruttamento animale.
La Francia, a quanto pare, non è ancora pronta ad affrontare la questione animale nella sua complessità, così come gli altri paesi europei, che convivono tuttora con l’affermazione contenuta nel Trattato di Lisbona, un testo paracostiotuzionale, che afferma la necessità di tutelare gli animali non umani in quanto “esseri senzienti”, e con una prassi legale di sfruttamento e massacro di massa di questi stessi esseri senzienti.
Quel che forse sta avvenendo in Francia, e che ancora in altri paesi, a cominciare dal nostro, non si vede, è l’avvio di un dibattito sulla posizione reale degli animali nella società. Lo ha spiegato bene Jean-Marc Neumann, giurista e vice presidente della Fondazione animali, etica e scienza: “La frase approvata dal parlamento è meramente simbolica e non deve essere concepita come un punto di chiusura della discussione, bensì di avvio di un dibattito sulla questione vera: si tratta di sapere in che società vogliamo vivere: una società che intende proseguire nello sfruttamento degli animali o una società che è pronta ad affrontare certi sforzi e sacrifici a vantaggio degli animali? Abbiamo bisogno di un dibattito sociale e una discussione con allevatori, cacciatori, pescatori. Non si tratta – dice Neumann – di pensare a un cambiamento che arriva dall’oggi al domani ma di fissare dei paletti e degli obiettivi”.
In un mondo che cambia, con un modello di sviluppo che pare agonizzante e che soprattutto sta compromettendo le condizioni di vita in larghe zone del pianeta, è lecito pensare che la questione animale sia destinata a far parte di quel dibattito sociale che dovrà necessariamente correggere la rotta, sempre che vogliamo e sia davvero possibile cambiare un corso delle cose che promette disastri e ingiustizie crescenti.
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