Oggi vogliamo parlarvi di un personaggio straordinario, poco noto al grande pubblico, ma che ha avuto un ruolo molto importante nell’elaborazione del moderno pensiero animalista e antispecista e nello sviluppo di una filosofia di vita non violenta nel mondo occidentale. Parliamo di Henry Salt, scrittore e attivista britannico vissuto fra il 1851 e il 1939.
La vicenda di Henry Salt colpisce per la sua modernità, per la sorprendete attualità del suo pensiero. E’ l’autore cui si deve la nozione stessa di “diritti animali”, titolo di un suo libro del 1892, e soprattutto è il primo pensatore e attivista a collegare strettamente la lotta per la libertà e l’uguaglianza fra gli uomini alla liberazione animale. Peter Singer, il filosofo australiano che col suo libro “Liberazione animale” del 1975 può essere considerato il padre dell’animalismo moderno, riconosce la straordinaria azione pionieristica di Salt: “A leggere le sue opere si resta meravigliati – ha scritto Singer – della sua capacità di ancipare quasi ogni punto del dibattito contemporaneo sui diritti animali”.
Figlio di un ufficiale dell’esercito britannico, Henry nacque in India ma visse poi la sua vita in Inghilterra. Fu docente di materie classiche e autore di oltre 40 libri a cavallo fra letteratura, impegno civile e filosofia. Coltivò per tutta la vita ideali socialisti e fondò nel 1891 la Humanitarian League, che si diede il compito di combattere le ingiustize e le diseguaglianze sociali. Si battè contro la pena di morte e per una riforma del sistema carcerario. Era un riformatore sociale attento a tutte le novità in campo sociale, filosofico, scientifico.
Nella sua visione il progresso umano, la lotta contro le disuguaglianze, in una parola il percorso verso una società più giusta, riguardava anche il destino degli animali, comprendeva cioè tutti gli esseri viventi. Non a caso il titolo completo del suo libro fondamentale, purtroppo non disponibile in italiano, è “Animals’ Rights considered in relation to social progress”, i diritti degli animali in relazione al progresso sociale. “L’emancipazione degli uomini dalla crudeltà e dall’ingiustizia – vi si legge – porterà con sé, a tempo debito, anche l’emancipazione degli animali. Le due riforme sono inseparabili e nessuna delle due può essere completamente realizzata da sola”.
E’ questo un concetto che colloca Salt nella parte più avanzata del movimento animalista e antispecista contemporaneo, eppure egli scriveva quel libro in un’epoca in cui in Italia, per dire, esisteva a malapena la prima società di protezione degli animali promossa fra gli altri da Giuseppe Garibaldi. Per Henry Salt, evidentemente, la semplice azione di tutela degli animali dai soprusi più gravi era del tutto insufficiente. Il suo contributo principale fu l’impulso dato all’animalismo politico, alla considerazione della condizione animale nella società del suo tempo come una questione di giustizia. Come scrisse nel 1892, “la nostra non è una richiesta di pietà ma di giustizia. Occorre coltovare un ampio senso di universale giustizia, non di pietà, verso tutti gli esseri viventi”.
E ancora: “Se i diritti esistono, e sentimenti e costumi indubbiamente provano che esistono, essi non possono coerentemente essere riconosciuti all’uomo e negati agli animali, giacché lo stesso senso di giustizia si applica in entrambi i casi”.
Henry Salt era dunque un riformatore radicale, un socialista non marxista che criticava fortemente il capitalismo in grande crescita. “I nostri capitalisti, diceva, persistono nella loro futile convinzione che vivere prigramente del lavoro degli altri non sia la stessa cosa che rubare”. Ma c’è un’altra osservazione di Salt che stupisce per la sua carica anticipatrice, per la sua capacità di cogliere il nesso che univa e che unisce tuttora la condizione animale al sistema produttivo industriale. “Le vittime dei carnivori umani sono nutrite, allevate, predestinate sin dall’inizio alla finale macellazione, così che il loro intero modo di vita è programmato a tal fine, è alterato dal suo standard naturale ed esse non sono più nient’altro che carne animata”. E’ una frase che sembra scritta oggi e non a fine Ottocento.
Salt fu amico di George Bernard Shaw e biografo di Henry David Thourau, il primo teorico della dosobbedienza civile ed ebbe un ruolo importante anche per la vita e la visione politica del Mahatma Gandhi.
Un altro libro importante di Henry Salt è infatti “A Plea for vegetarianism”, che possiamo tradurre “In difesa del vegetarianismo”. Questo testo fu pubblicato nel 1886 a cura della Vegetarian Society. Quella stessa Vegetarian society che Gandhi ebbe l’occasione di frequentare durante il suo soggiorno di studio a Londra fra il 1888 e il 1891. E’ noto che Gandhi appartaneva a una casta di commercianti che praticava il vegetarismo ma è altrettanto noto che il futuro Mahatma, nel concepire le sue giovanili concezioni anticolonialiste, si allontanò per qualche tempo dalla scelta vegetariana.
Per un periodo mangiò carne, convinto che una dieta del genere fornisse maggiore forza fisica e mentale e che quindi il vegetarismo fosse un fattore della debolezza per la nascente nazione indiana. Prima di partire per l’Inghilterra, all’età di 19 anni, Gandhi fu comunque costretto a promettere alla madre che non avrebbe consumato né alcol né cibo di origine animale e così, una volta giunto a Londra, cominciò a frequentare un ristorante vegetariano, nel quale entrò in contatto con la Vegetarian Society, l’organizzazione nella quale mosse i suoi primi passi come attivista sociale e politico e anche come oratore (sotto questo profilo, a dire il vero, con risultati deludenti, visto che al giovane Gandhi, futuro avvocato, capitava spesso di emozionarsi al punto da non riuscire a proferire parola).
A Londra, comunque, mosse i suoi primi passi da attivista il futuro liberatore dell’India e a Londra Gandhi approfondì e consolidò la sua scelta vegetariana, che non avrebbe più rinnegato. Fu lo stesso Gandhi, partecipando a un’assemblea della Vegetarian Society nel 1931, quindi 40 anni dopo aver lasciato Londra e l’università nella quale aveva studiato, a riconoscere il suo debito nei confronti di Henry Salt e del suo libro: “Fu A Pea for vegetarianism – disse Gandhi in quell’occasione – che mi mostrò, a prescindere dal mio vegetarismo, che aveva natura ereditaria e al quale fui educato da mia madre secondo la nostra tradizione, perché fosse giusto essere vegetariani. Quel libro mi mostrò come fosse un dovere morale non vivere la propria vita a scapito dei fratelli animali”.
Henry Salt nella sua lunga vita lottò anche contro la vivisezione e impegnò la Humanitarian League in una lunga lotta contro la caccia e contro quelli che chiamava “Blood sports”, sport sanguinari, come la caccia competitiva al cervo o il tiro al piccione. Henry Salt era un uomo che credeva nel progresso, nel cambiamento, nella possibilità di lottare per la giustizia avendo fiducia nel futuro. Fu anche un antesignano del moderno ambientalismo. Diceva che l’umanitarismo non è una semplice espressione di simpatia verso chi soffre: è una protesta contro ogni tirannia e profanazione, sia che i torti consistano in sofferenze inflitte ad esseri viventi, sia che si tratti di vandalismi che distruggono brutalmente la naturale grazia della terra.
Chiudiamo con questa sua affermazione: “Nella misura in cui l’uomo sarà veramente umanizzato, non dalle scuole di cucina ma dalla scuola del pensiero, egli abbandonareà le barbare abitudini dei suo antenati carnivori e progredirà gradualmente verso una nutrizione più pura, più semplice, più umana e quindi più civile”.
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