Gentili giornalisti
abbiamo seguito, al telegiornale di stamani, la vicenda della studentessa di veterinaria gravemente malata che, pubblicamente, appoggia la vivisezione.
Premettiamo che
– grazie all’empatia che ci contraddistingue, comprendiamo la sua sofferenza, il suo bisogno di speranza;
– ci dissociamo da tutte le forme di condanna, dagli insulti e dalle ingiurie di chi l’ha aggredita sui siti internet.
Ci vengono, però, in mente alcune domande:
– perché questa ragazza si pronuncia a favore della vivisezione in modo pubblico?
– perché i media danno così tanto spazio a lei e nessuno a persone, ben più competenti di lei, altrettanto malate, che invece dicono esattamente il contrario e cioè che se i farmaci sono spesso poco efficaci è proprio perché sono sperimentati sugli animali?
Ammesso e non concesso che la sperimentazione sugli animali sia utile, anche i malati dovrebbero considerare qual è il prezzo in sofferenza che qualcun altro paga per loro, e se davvero la salute di una persona valga la morte, fra atroci torture, di milioni di altri esseri viventi capaci di sofferenza e consapevolezza di sé.
Per noi, questa ragazza è a sua volta una vittima. Vittima delle lobbies farmaceutiche che hanno interesse a mantenere in piedi la sperimentazione sugli animali e dei medici professori universitari che, pagati (attraverso i finanziamenti privati alle loro ricerche) dalle case farmaceutiche, non ricordano neppure agli studenti che esiste la legge 413/93 sull’obiezione di coscienza alla vivisezione, che esistono i metodi sostitutivi i quali in molti campi sono ormai accettati dai protocolli di ricerca più avanzati e che in realtà la sperimentazione sugli animali contraddice i principi basilari della metodologia della ricerca e della sperimentazione.
Soprattutto però, vogliamo protestare nei confronti delle modalità di un’informazione che riteniamo non rispetti il pluralismo delle idee, in particolare su un argomento tanto importante da aver fatto confluire al Parlamento Europeo oltre un milione di firme per “Stop vivisection”.
Protestiamo perché, raccontando la storia dolorosa della studentessa, avete suggerito una sola opinione, quella condizionata e condizionante diffusa dalla ragazza (nonché quella interessata e dogmatica dei vivisettori che suggeriscono alle sue spalle) inducendo gli ascoltatori a ritenerla unica e intoccabile.
Mentre i fatti sono obiettivi, la conclusione non è nè obiettiva nè completa secondo il dettato della “continenza formale” la quale sancisce che la responsabilità del giornalista non può essere subordinata “ad interessi di altri” (della ragazza, dei vivisettori) in mancanza dell’opinione opposta, quella delle persone, medici, biologi, chimici, ricercatori che sono contrari alla vivisezione.
Aspettiamo che tale opposta opinione venga raccolta e trasmessa nei prossimi giorni e vi suggeriamo di chiederla a una ricercatrice, Susanna Penco, anch’essa gravemente malata ma dichiaratamente antivivisezionista e di cui vi alleghiamo la testimonianza.
Grazie per l’attenzione.
Mariangela Corrieri, Marta Torcini e amici.
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LA POSIZIONE DI SUSANNA TENCO
Vivisezione, No agli insulti, No alle strumentalizzazioni
No agli insulti e alle minacce, “perché educazione e civiltà sono valori imprescindibili”, ma no anche alle “strumentalizzazioni di qualsiasi genere”.
Questo il commento della biologa Susanna Penco, ricercatrice presso il dipartimento di Medicina sperimentale dell’Università di Genova, ma anche malata di sclerosi multipla da vent’anni, sul caso della studentessa di Padova che si è dichiarata “viva grazie alla sperimentazione animale” e perciò è stata offesa su Facebook.
Il futuro, afferma Susanna Penco, è “la medicina personalizzata, che sfrutta le differenze genetiche interindividuali per capire il funzionamento delle malattie umane”.
“Ho appreso – scrive la dottoressa Penco – del clamore suscitato in rete dalle affermazioni di una studentessa malata, con la quale condivido la sfortuna di non aver avuto la salute in dotazione. Anche io convivo con una malattia che mi ha costretta a flebo di cortisone, a terapie pesanti, a rinunciare, per esempio, a vivere un sereno Capodanno, o la vigilia di Natale (se mi devo fare una puntura che mi scatena sintomi come la peggiore delle influenze è ovvio che me ne debba stare a casa), in quanto devo sottopormi cronicamente ad una cura fastidiosa, di cui alcuni lavori scientifici, tra l’altro, mettono anche in dubbio l’efficacia.
Mi sconfortano le parole offensive verso la studentessa, poiché educazione e civiltà sono valori imprescindibili. Tuttavia, contrariamente a lei, troverei umiliante per me stessa farmi fotografare con una flebo attaccata alla vena: pertanto metto in rete una foto in cui appaio sorridente, anche se molto spesso sono tutt’altro che serena o in salute. Detesto le strumentalizzazioni di qualsiasi genere. Siccome sono malata mi informo, e leggo ad esempio che non ci sono ancora cure per le forme progressive di sclerosi multipla: è un dato di fatto (fonte: AISM).”
“Grazie alle mie conoscenze scientifiche – prosegue la specialista– sono persuasa che, anche per le malattie più agghiaccianti, ossia delle quali non si conoscono le cause e che riducono fortemente la qualità della vita, sia proprio la sperimentazioni sugli animali ad allontanare le soluzioni e la guarigione per i malati. Sono spesso malattie croniche, che costringono i pazienti e le loro famiglie ad una vita drammatica. Inoltre, le terapie sono molto costose per il SSN. Se si abbandonasse un metodo fuorviante – sottolinea la ricercatrice – e ci si concentrasse sull’uomo, i progressi della scienza sarebbero più rapidi ed efficaci: io spero risolutivi”.
Una via per arrivarci è la donazione degli organi per la ricerca. “D’accordo con i miei parenti – racconta Susanna Penco – ho donato il cervello affinché sia studiato dopo la mia morte. Se c’è un modo di capire le cause, e di guarire anziché curare (guarire gioverebbe ai malati, e anche al bilancio dello Stato, della Sanità, in definitiva dei contribuenti!), dovremmo cominciare a studiare tessuti umani e anche gli organi post mortem. La soluzione migliore è sempre la prevenzione che, finché non sono note le cause, non è attuabile.
La dott.ssa Candida Nastrucci, biochimico clinico (DPhil, Università di Oxford, Grant Holder Fondazione Veronesi) , aggiunge che per quanto riguarda le malattie genetiche, non è possibile determinare quali tipi di terapie avremmo potuto sviluppare usando tessuti o cellule derivati da esseri umani o dallo stesso paziente. L’uso di animali potrebbe anche aver rallentato il progresso della ricerca per trovare cure per malattie umane. Il futuro è la medicina personalizzata, che sfrutta le differenze genetiche interindividuali per capire il funzionamento delle malattie umane”.
Per queste ragioni negli altri Paesi si investe sui metodi alternativi: per esempio, il National Institutes of Health (NIH) degli Stati Uniti ha finanziato con 6 milioni di dollari un progetto rivoluzionario per la mappatura del toxoma umano, con l’obiettivo di sviluppare test tossicologici per la salute umana e ridurre i test su animali”.
Insomma, conclude la ricercatrice,”non credo che i rimedi ai mali umani stiano nello studio fatto su esseri viventi diversi da noi: e tutto questo lo vivo sulla mia pelle. La sperimentazione animale può essere anticamera di cocenti delusioni. Ve ne sono molti esempi, anche riguardanti farmaci in commercio”.
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