Oggi parliamo di un libro che dà il titolo a una delle nostre rubriche. Si tratta di “La bella, la bestia e l’umano”, di Annamaria Maria Rivera, l’antropologa e attivista che di questa rubrica è appunto la titolare.
Pubblicato da Edisse nel 2010 “La bella, la bestia e l’umano” ha nel sottotiolo la sua piena esplicazione: Sessismo e razzismo senza escludere lo specismo.
Possiamo dire che questo saggio di Annamaria Rivera è fra i pochi che abbiano affrontato la tematica della discriminazione, e il suo peso nella cultura corrente, mettendo in evidenza le relazioni che uniscono l’esclusione e la sottomissione del genere femminile con il razzismo contro stranieri e minoranze e – ecco il tassello sempre assente – con la sorte inflitta nella nostra società agli animali non umani.
Rivera è una studiosa rigorosa, con una solida formazione teorica, e in questo saggio, che ha un intento divulgativo, fa ampio riferimento alla letteratura sociologica, filosofica e antropologica. Ne deriva un libro leggibile e mai banale, capace soprattutto di misurare la tenuta dei concetti e dell’analisi con i dati di realtà offerti dalla vita concreta. Non mancano cioè le esemplificazioni di ciò che Rivera intende per intreccio fra sessismo, razzismo e specismo, attraverso casi e fattispecie ripresi dai media e dall’attualità politica e di cronaca.
Rivera definisce allora il neorazzismo in Italia come “un sistema, spesso subdolo, di diseguaglianze giuridiche, economiche e sociali, di solito caratterizzato da forti scarti di potere fra i gruppi sociali coinvolti”. Questo elemento, gli scarti di potere, è un aspetto chiave di tutte le forme di discriminazione – compresa quella verso gli animali – ma viene spesso dimenticata o messa in secondo piano quando si parla di razzismo, poiché molti preferiscono circoscrivere questa sgradevole ma forte dimensione della nostra vita pubblica in un recinto – in realtà fasullo – di subculture ed estremismi individuali e di gruppo. E’ un modo per neutralizzare la questione e allontanarla da sé.
Il razzismo ha invece una forte dimensione storica e politica, tanto che oggi è possibile parle di “razzismo istituzionale” con riguardo alle leggi e ai regolamenti che differenziano diritti e opportunità fra i cittadini autoctoni e gli altri: si pensi alla vessatoria e irrazionale normativa sull’immigrazione e sui permessi di soggiorno, al sistema dei Centri di identificazione ed espulsione, all’anacronistica legge sulla cittadinanza.
Quanto al sessismo, Rivera mette in risalto le forti analogie con il razzismo, per la stessa dinamica di potere che li caratterizza: nell’uno e nell’altro caso esiste un noi – la società dei bianchi e autoctoni in un caso, il genere maschile dominante nell’altro – che è in grado di definire se stesso come universale e gli altri come “particolari”, differenziando anche qui diritti e opportunità, sia sul piano normativo sia sul piano della concreta dinamica sociale: si pensi al suffragio universale, negato fino a pochi decenni fa per escludere le donne, o alle mille forme di esclusione, sottomissione, privazione del genere femminile tuttora in atto nella società.
Rivera rimarca come in entrambi i casi – razzismo e sessismo – prevalga un dispositivo ideologico che consente ai dominatori di “naturalizzare” gli altri, cioè di spiegare e giustificare certi fatti sociali come fenomeni naturali e perciò immutabili, scontati, ovvi.
La grande novità della visione di Annamaria Rivera, dicevamo, è l’esplicita indicazione dello specismo come altra forma di discriminazione e gestione del potere nella nostra società, secondo una medesima logica di gerarchizzazione che punta a mantenere lo status quo. Lo specismo, ecco un punto importante, è intrecciato a razzismo e sessimo: l’uno alimenta l’altro, insieme formano un apparato ideologico e di potere formidabile.
Annamaria Rivera cita Claude Levi-Strauss, che in un passaggio teorico fondamentale si sofferma sulla divaricazione fra umano e animale, una separazione tutta ideologica, tesa a svalorizzare la condizione animale, a escluderne fittiziamente l’uomo. Per Levi Strauss è attraverso questo passaggio, attraverso questa cioè la radicale quanto artificiale separazione fra umano e animale, che è cominciato quel “ciclo maledetto” che sarebbe stato la base per escludere dalla sfera dell’umanità un gruppo umano dopo l’altro e per circoscrivere la nozione di umanità a gruppi sempre più ristretti.
E’ una chiave di lettura che ci pare importante e che spiega perché abbiamo chiesto ad Annamaria Rivera di collaborare con Restiamo animali.
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