Nei giorni scorsi a Genova è stato inaugurato in pompa magna il nuovo delfinario, una struttura costosissima disegnata dall’archistar Renzo Piano per la quale sono stati spesi ben 26 milioni di euro. Il nome ufficiale è “padiglione dei cetacei” e come sempre avviene in questi casi la copertura ideologica dell’operazione ha un contenuto scientifico. Si dice che la vasca di vetro ferro e cemento riproduce l’ambiente naturale e che il Padiglione dei cetacei – come pudicamente viene definito ufficialmente il delfinario – permette di osservare e conoscere da vicino gli animali che vi scontano in realtà l’ergastolo.
Alle eventuali obiezioni sulla prigionia inflitta ai sei delfini, si risponde spiegando che sono tutti animali che già si trovavano in cattività o che sono nati da genitori già detenuti in altre vasche. Il “Padiglione dei cetacei”, che può sembrare grande allo sguardo umano (sono 4 vasche profonde fino a sette metri), ovviamente non è altro che un luogo di reclusione per animali capaci di spingersi fino a 800 metri di profondità e di nuotare in mare aperto per chilometri. Se la discussione fosse meno ipocrita e più rispettosa per la vita altrui, anche il sindaco di Genova Doria, che ha inaugurato la struttura, o gli artisti ingaggiati per promuoverla, come Geppi Cucciari e la Premiata Forneria Marconi, per non parlare del progettista Renzo Piano, si chiederebbero qual è il reale valore educativo di una struttura così antiquata, che riflette una mentalità ottocentesca, con gli animali prigionieri esibiti con un orgoglio e una leggerezza da impresa coloniale. Perché non si dice che la conoscenza della vita animale oggi è possibile attraverso filmati, fotografie, documentari? Che cosa può apprendere di positivo una persona visitando spensierata un luogo di reclusione?
Delfinari e luoghi simili sono un residuo di un’epoca da dimenticare, totalmente irrispettosa degli animali non umani. I delfini oggi in cattività dovrebbero essere reimmessi in natura – ove possibile, valutando le caratteristiche di ciascuno – e la loro riproduzione evitata: l’idea che il fatto di avere figli migliori la vita dei prigionieri è solo un alibi per non fermare la triste e macabra industria dell’esibizione degli animali “selvatici”.
La Lav ha contestato il delfinario di Genova con un esposto alla Corte dei conti per i 26 milioni di denaro pubblico speso nella struttura, promuovendo uno spot “Sos delfini” firmato da Licia Colò e Giorgio Panariello e facendo sorvolare l’area del porto di Genova, durante il varo del delfinario, da un piccolo areeo che trascinava uno striscione lungo sei metri con la scritta “Liberiamo i delfini”. Speriamo che sia l’inizio di una mobilitazione che si ponga l’obiettivo di mettere finalmente fuori legge simili strutture e con esse, ovviamente, tutti gli zoo. E’ un obiettivo raggiungibile, nonostante la brutta pagina scritta dalla città di Genova.
In un Paese dove il sovraffollamento delle carceri ha raggiunto livelli inquietanti e disumani, parlare di nuovi delfinari mi pare coerente.
Tristemente coerente….