A cura di Valentina Reggioli
L’albo di questo mese, sceneggiato dall’instancabile Giovanni Gualdoni, nonostante non farà certo la felicità degli appassionati di splatter e gore, vista la quasi totale assenza di scene di un certo vigore, ma è godibile come una storia noir ispirata ai classici degli anni ’30.
E ci piace particolarmente perchè vi ritroviamo il lato animalista del nostro veg-eroe che si trova alle prese con non uno ma ben due dei tanti orrori di cui è ricco il nostro rapporto cogli animali.
Dal titolo e dalla copertina, disegnata dal maestro Stano, si capisce il coinvolgimento di grossi quadrupedi: siamo nel mondo delle corse di cavalli e l’ippodromo di Londra fa da cornice a questa triste storia coinvolgente lo stallone nero “Blacky”.
Dylan viene contattato dalla padrona di un cavallo che racconta di una corsa andata male: il cavallo, spaventato chissà da cosa, disarciona il fantino perdendo la gara. Il fantino cascando, dice di aver riconosciuto, in questo “qualcosa” un cavallo fantasma. Dalla descrizione la padrona capisce che si tratta del “campione” tanto caro al padre, anche lui appassionato di corse, quando lei era piccola, Blacky appunto.
La sorte di Blacky è la stessa di molti altri animali usati solo per il divertimento e lo sfizio di noi umani: usati fino alla consunzione e poi uccisi. Blacky era il favorito di una gara ma il suo stesso padrone, in debito per certe scommesse perse, decide di fare dei soldi sulla sua pelle: punta sulla sua perdita. E per essere sicuro che tutto finisca bene fa procurare all’animale una piccola frattura. Anzi per troppo “cuore” fa rompere ad uno dei suoi una zampa al cavallo.
Il testardo animale riesce lo stesso a vincere la gara ma la velocità e il peso gli fanno letteralmente perdere uno zoccolo e poi, poiché non più redditizio, la vita.
Comincia una scia di morti, tutte legate al mondo delle corse; si pensa quindi che il fantasma dell’animale sia tornato per vendicarsi dei suoi aguzzini. E Dylan Dog questo si augura..anche se, rassicurando la sua cliente si lascia ad una assoluta verità: “non temete, a differenza degli esseri umani gli animali sono creature intelligenti e sono certo che alla fine a farne le spese saranno soltanto i veri colpevoli”.
In uno dei suoi soliti “sogni” Dylan si ritrova al pronto soccorso circondato da medici che si preoccupano della sua ferita scomposta di tibia e perone, rimanendo inorriditi dalla gravità della situazione e constatando più o meno con rammarico, che l’unica soluzione per evitargli il dolore (o per evitare a sè stessi troppo disturbo), è un colpo di pistola alla testa… pratica purtroppo usata proprio nel mondo delle corse…d’altronde, se l’animale è solo un mezzo, quando si rompe è inutile aggiustarlo!
Tutto fa quindi pensare alla vendetta del povero Blacky ma a poche pagine dalla fine si capisce che non è così. Dylan si reca di notte all’ippodromo per indagare su una delle ultime morti di cui è stato incolpato il “fantasma” (anche se poi si capisce che in realtà il responsabile è anche troppo umano) e lì finalmente vede il cavallo: un cavallo scheletrico, molto simile a Blacky tutto nero ma molto docile con Dylan.
L’indagatore ha la percezione che il cavallo lo voglia portare in un edificio abbandonato e così lo segue…ma entra in un incubo: sangue rappreso per terra, mosche, ganci da macellaio e puzza nauseabonda. Ci mette poco a capire di trovarsi in un macello clandestino in cui sono detenuti cavalli ex-corridori (che per legge non potrebbero finire nella catena del consumo alimentare) tenuti al buio senza cibo nè acqua in un vero “lager”, citando testualmente il termine antispecista usato dall’autore. Per fortuna sono tutti vivi e verranno curati e poi ricoverati in strutture adeguate.
Tutti tranne uno, un magnifico cavallo nero morto per gli stenti patiti. E Dylan, con la delicatezza e la rassegnazione di chi ama gli animali ma si rende conto di essere molto lontani da una società giusta anche con loro, conclude con queste parole:
“una povera anima in pena che aveva cercato in tutti i modi di impedire che i suoi compagni di prigionia facessero la sua stessa fine..aiuto, non vendetta, ecco cosa cercava quello spettro..d’altronde la vendetta è un sentimento troppo meschino per appartenere agli animali è qualcosa che a ricercata piuttosto negli esseri umani”.
Che dire…speriamo che un giorno il nostro indagatore dell’incubo smetta di interessarsi di benessere animale perché allora vorrebbe dire che il mondo ha finalmente cominciato a girare nel verso giusto!
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