di Camilla Lattanzi
DIGIUNO CON DAVIDE BATTISTINI PER UN MODELLO RIVOLUZIONARIO DI RELAZIONI TRA VIVENTI
“Ma come? Non ti basta essere vegana? Adesso ti metti pure a digiunare?”
“Ahahah! Forse digiuna proprio perché è vegana! Meglio digiunare che mangiare quella roba… Come si chiama? Topu?”
Le frasi di colleghi e conoscenti sono un po’ queste. Gli amici hanno più pudore, magari disapprovano
ma cercano di sostenermi perché capiscono quanto sia importante per me stare dalla parte degli animali.
Non è la prima volta che digiuno per i diritti altrui. Qualche anno fa nella mia città fece clamore l’ordinanza sui lavavetri. Si colpiva un gruppo etnico che ai semafori cercava di guadagnarsi da campare. Cercammo di conoscerli da vicino e scoprimmo che vivevano nella zona idustriale, all’aperto in baracche fatitscenti. Visitammo inorriditi quel posto pieno di rifiuti e pullulante di topi. C’erano casi di TBC e un handicappato grave. Erano dei poveracci. A volte simpatici, a volte no, ma anche i datori di lavoro o i preti non sono sempre come li vorremmo. Esattamente come i cani, immagino. E allora?
Noi ritenemmo un’infamia quell’ordinanza che li criminalizzava per la loro condizione di estrema povertà e per non tacere organizzammo un digiuno a staffetta. In quel caso ci esponemmo con i cartelli in piazza sotto a Palazzo Vecchio. La gente passava e ci guardava appena. Il tema spaccava la città. Assieme a noi a manifestare e volantinare c’era un gruppo di persone ebree, preoccupate per una deriva razzista che non era sfuggita al loro fiuto e alla loro memoria.
Grazie alla newsletter di “Oltre la Specie” abbiamo saputo del digiuno di Davide Battistini a Ravenna,
portato avanti per chiedere alla Regione Emilia Romagna una legge civile che impedisca di far vivere e marcire dei viventi a una catena. Ho intervisato Davide e la sua visione mi è sembrata molto ampia, quella di un vero antispecista. Lui ha sostenuto che le catene dei cani sono le stesse che legano i poveracci alla loro condizione di inferiorità. Si è dichiarato un progressista, di sinistra, ha collegato la sua richiesta a tante altre lotte, quelle contro i penitenziari indecenti, gli ospedali psichiatrici, spostando sul piano politico il senso della sua ragionevolissima richiesta, condivisa – credo – dal 99% della società.
Anch’io penso che l’animalismo e l’antispecismo siano istanze politiche, penso che non dobbiamo
avere paura come animalisti e antispecisti di occupare lo spazio mediatico e politico articolando le nostre proposte. Per la liberazione dei viventi (animali, ambiente, umanità) c’è bisogno di un modello di società e di relazioni col vivente completamente nuovo e diverso. Cito Marco Reggio: va messo in discussione il patriarcato, la visione predatoria delle relazioni fra umani, quella colonialistica delle relazioni fra comunità. Vanno ripensati i concetti di “natura”, “libertà di scelta” ed “evoluzione”.
Ogni lotta è sacrosanta, per questo ci uniamo a Battistini e sosteniamo il suo digiuno
e questa lotta – assieme a tante altre – mette in discussione il modello stesso di società in cui viviamo.
Mercato, profitto, consumo, portano a un modello gerarchico e violento di dominio e sfruttamento del forte sul debole pianificato e controllato da banchieri finanzieri petrolieri produttori di armi ecc che non ha proprio nulla né di “umano” né di “animale”.
Dopo anni e anni di gruppi d’acquisto fondati e frequentati ho capito che anche la responsabilità del consumatore non è che parziale e limitata, per quanto io pensi che il consumo critico sia un’eccellente palestra per comprendere la complessità delle filiere produttive e la loro insostenibilità. E’ un modello senza futuro e pensato per pochi. Noi chiediamo futuro per tutti.
Partiamo dagli animali perché ci sembrano i più oppressi tra gli oppressi, e per rifiutare un sistema che divide l’umanità in “classe dominante” da una parte e “animali” dall’altra. In questa categoria a seconda delle situazioni ci finisce di tutto: donne, rom, consumatori, omosessuali, poveri, matti, senza-tetto, animali da reddito, cani, e così via. Finché questa categoria esiste nessuno è al sicuro. E quindi? Che fare?
Per me la risposta è questa: oggi sto con Davide e la sua lotta, ma sostengo anche tutte le altre,
e mi sento parte di un movimento, quello definito “no-global”, che ha portato sulla scena mondiale, da Seattle a oggi, un nuovo e diverso patto tra viventi, l’unica arca sulla quale salvarci tutti insieme, senza lasciare indietro proprio nessuno.
Restiamo animali!
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