Non ho mai vissuto con un cane ma nella lotta antirazzista ho imparato che ci sono modi molto efficaci per comprendere il reale stato delle cose: l’immedesimazione, la sostituzione di concetti malnoti con altri più familiari. Per dire: basta sostituire il termine ebrei al vocabolo rom per capire quanto siano odiosi e violenti la propaganda e i pregiudizi che colpiscono il popolo rom (si parla con disinvoltura di emergenza rom, di rom che rubano, di rom inconciliabili con la nostra società e così via, ma non si potrebbe mai parlare, nel discorso pubblico, di emergenza ebrei, di ebrei inassimilabili, dediti al malaffare e via dicendo, almeno non dopo la Shoah).
L’immedesimazione è uno strumento di conoscenza altrettanto potente. Quando si parla di cittadinanza delle persone che vengono da fuori, o dell’invio di mezzi militari a sorvegliare le coste o dell’ecatombe in atto da anni e anni nel Mediterraneo nell’indifferenza generale, basta provare a calarsi nella parte di chi si trova sul lato opposto al nostro rispetto alla fasulla linea di demarcazione noi/loro tracciata da chi detiene il potere, per capire di fronte a quali aberrazioni ci troviamo, fuori da ogni retorica e condizionamento.
Lo stesso procedimento può essere seguito con gli animali non umani, grazie alle conosceneze dirette e di etologie che permettonosuperare la barriera di specie. Penso ai miei gatti, ai cani che conosco pur non avendo mai convissuto con loro, e provo a pensare che cosa voglia dire vivere ore e ore, giornate intere, in una gabbia o legati a una catena che impedisce ogni movimento, se non in uno spazio angusto. E’ una forma di tortura che gli stessi umani “padroni” dei singoli individui soggetti a questa forma di repressione, forse nemmeno percepiscono a fondo.
Vivere con un animale, per noi umani, comporta un insieme di impegni e di doveri che hanno bisogno d’essere continuamente aggiornati, perché la relazione fra umani e non umani cambia nel tempo, con una progressiva contenzione del rapporto di dominio che abbiamo ereditato dal passato.
Ce lo mostra bene la legislazione, che contempla, rispetto a venti-trenta anni fa, per non andare più indietro nel tempo, una progressiva estensione delle tutele e dei riconoscimenti per gli animali non umani. Tutti noi animalisti citiamo il Trattato di Lisbona e la nozione di “esseri senzienti” che contiene.
L’apparato normativo è per alcuni aspetti più avanti della sensibilità diffusa, ma per altri aspetti molto più indietro. Basti pensare alla caccia e alla vivisezione, ormai invisi a larga parte della popolazione ma permessi e addirittura incoraggiati dalle leggi vigenti. E gli stessi allevamenti intensivi, a ben vedere, sono da mettere nel mirino dei cambiamenti normativi da introdurre a breve termine, vista la scarsa popolarità di cui godono nonostante la loro invisibilità e la potente propaganda carnista in atto nella nostra società.
La battaglia di Davide Battistini per una normativa che escluda – salvo circoscritte eccezioni – la possibilità di tenere i cani alla catena, si inscrive fra le lotte che possono condurre a miglioramenti normativi immediati nell’ambito di quella grande corrente di cambiamento che sta portando a dei passi avanti verso la liberazione animale (che è un aspetto non secondario della stessa liberazione umana).
Il digiuno di Davide merita d’essere sostenuto e il suo coraggioso impegno deve avere tutta la nostra ammirazione. Qualcuno pensa che la sua sia una lotta troppo dura e faticosa rispetto all’obiettivo che si è prefissato, ma non è così, se si pensa – ecco l’immedesimazione – alla sorte inflitta a ciascuno dei cani oggi in catene e al messaggio che sarà mandato a tutti i cittadini una volta che la battaglia contro le catene sarà vinta. Altre battaglie verranno, per obiettivi anche più ampi di quello indicato da Davide, e altre persone si uniranno. La convinzione che Davide sta mostrando è quindi degna della massima attenzione e merita d’essere presa come esempio.
Le mie 24 ore senza cibo sono state un’esperienza molto istruttiva. Compiere un piccolo gesto del genere, spinge a riflettere un po’ più del normale, a badare di più ai propri intimi convincimenti e all’importanza di farsi ispirare da questi convincimenti nei comportamenti quotidiani. Qualcosa del genere insegnava ai suoi tempi Gandhi, che ha praticato il digiuno sia come forma di lotta nonviolenta sia come personale tecnica di disciplina e autoformazione.
La lotta di Davide è anche la nostra lotta, si aggiunge a molte altre in corso e tutte insieme appartengono alla famiglia del progresso dei viventi. Abbiamo ancora molti cambiamenti da fare, e con urgenza, per dare un futuro a noi stessi e a chi verrà dopo di noi.
Forza Davide. Restiamo animali!
Lorenzo Guadagnucci
BRAVO,SONO DI REGGIO EMILIA ANCH’IO ISCRITTA LAV. PURTROPPO L’UOMO E’ TROPPO, TROPPO IGNORANTE MA NOI ANDIAMO AVANTI. QUALCUNO PRIMA O POI CI ASCOLTERA’ SPERIAMO
Noi umani tendiamo a considerare la nostra esistenza come iscritta nell’ordine naturale delle cose.Siamo nati con dei diritti, siamo cresciuti in un contesto sociale in cui i rapporti con una cerchia sempre pù allargata di persone ci hanno fatto sentire parte integrante di una comunità. Difficilmente qualcuno potrà non considerare i nostri interessi o abusare di noi. Varie tutele sociali ci proteggono: ciò per noi è naturale, solo per il fatto d’esistere. Eppure lentamente, fin da piccoli, cominciamo a renderci conto che non tutti sono fortunati quanto noi. Alcuni bambini che ci capita di conoscere sono nati in famiglie disadattate, sono poveri, sono stati abbandonati. In paesi lontani addirittura muoiono per fame o per malattie banali, altrove facilmente curabili. Molti sfortunati non possono giocare o frequentare le scuole perche sono obbligati a lavorare. Altri devono combattere guerre che neppure capiscono..
E noi? Quali meriti abbiamo avuto per non essere nei loro panni? Avremmo potuto nascere in un periodo storico, in una latitudine o in un contesto sociale ben più svantaggioso rispetto al nostro. Anche noi avremmo potuto essere semplicemente ” sfortunati”. Ed ecco la prma riflessione sul concetto morale di “fortuna”,Da questa riflessione nasce la coscienza sociale: la moralità si fonda proprio sulla capacità di immaginare alternative all’arbitrarietà delle mere contingenze. Parimenti dovremmo renderci conto che sfruttare il potere che abbiamo per un caso fortuito, non fa che peggiorare la posizione svantaggiata di altri. Ciò è particolarmente evidente nei rapporti di predominio della nostra specie nei confronti degli altri animali. Gli umani sottovalutano il ruolo che la sorte biologica svolge nell’assicurare il dominio sui viventi, così la coscienza non è quasi mai tormentata dal pensiero che avremmo potuto arbitrariamente trovarci molto più in basso nella scala del potere.
Solo il pensiero antispecista risale il buio dell’incoscio, proietta all’estremo sfortunato le nostre certezze antropocentriche, distrugge tutti i miti gerarchici dell’umanià sovrana e ci LIBERA DALLE CATENE create per sfuggire alle conseguenze morali del riconoscimento dell’orrore che accade, anche per causa nostra, ma che non vogliamo vedere.