A cura di Valentina Reggioli
In principio fu l’Unione sovietica con la piccola Laika. E poi sono venuti innumerevoli altri animali, sacrificati alle ambizioni spaziali di questo e quello stato. Ma ora, forse, qualcosa sta cambiando.
Dicevamo di Laika, il cane che rincorse le stelle a bordo dello Sputnik – era la prima impresa spaziale dell’Unione sovietica, anno 1957 – ma che avrebbe di molto preferito continuare a rincorrere gatti e ciclisti per le strade di Mosca, se avesse potuto decidere lei.
Ma Laika non era un cane qualsiasi. Laika, la bastardina arruolata dagli accalappiacani di Kruscev nei vicoli di Mosca per essere la prima creatura vivente spedita in orbita, non morì la morte indolore nello spazio dopo una settimana di orbite, che la propaganda ci aveva raccontato allora, ma una morte orrenda e struggente, inscatolata nel minuscolo Sputnik, poche ore dopo il lancio. Il suo cuore di cane fu schiantato dal panico e dalla solitudine incomprensibile.
Il dottor Dimitri Malashenkov, lo specialista che la seguì, ha raccontato di recente a un congresso di medicina spaziale a Houston, le ultime ore di Laika. L’elettrocardiografia seguita via radio segnò un aumento parossistico delle pulsazioni quando i motori s’accesero e il missile cominciò a vibrare sollevandosi dalla piazzola, qualcosa che la cagnetta non aveva mai provato prima.
Raggiunta la velocità orbitale, il ventilatore, secondo i leggendari standard del controllo di qualità sovietica, naturalmente non funzionò e la temperatura nella trappola spaziale cominciò a oscillare tra il caldo e il freddo estremi. Il suo cuore di cane prese a battere irregolarmente, fibrillando quando l’assenza di peso rallentò di colpo le pulsazioni e alla quarta orbita, dopo 5 ore di tormento, il tracciato divenne misericordiosamente piatto.
Forse fu la temperatura a ucciderla, o l’umidità che si era accumulata nel suo ansimare dentro quello spazio, o l’anidride carbonica che i filtri nella capsula avrebbero dovuto ripulire, ma che, probabilmente, non funzionarono a dovere. Il dottore non è sicuro.
Ma chiunque conosca un cane e abbia visto gli occhi di Laika mentre la insaccano dentro la sua gabbia, sa di che cosa è morta quella cagnetta, è morta di paura e di solitudine.
Ma prima di lanciare nello spazio un essere umano, diversi animali sono stati spediti in orbita per aprire la strada alle successive avventure di esplorazione dell’uomo. Questi veri e propri pionieri, incluse numerose scimmie, hanno silenziosamente servito la propria nazione con l’obiettivo di investigare gli effetti biologici di un viaggio spaziale.
Gli Stati Uniti preferirono utilizzare delle scimmie per le loro missioni e lanciarono numerosi voli principalmente fra il 1948 ed il 1961, preparando la strada per le successive missioni con astronauti umani a bordo. Complessivamente un totale di 32 scimmie presero parte al programma spaziale Usa. Numerose scimmie di riserva affrontarono il programma di addestramento, senza mai volare.
Ultima in ordine di tempo la preparazione della Nasa ad una missione su Marte. Si erano scelte 30 scimmie scoiattolo da sottoporre ad una serie di test per conoscere in anticipo gli effetti che le radiazioni, durante l’esposizione nel viaggio verso Marte, possono procurare al cervello umano.
Per fortuna, dopo una campagna di un anno, l’associazione americana PCRM (Physiciana Committee for Responsable Medicine, che promuove ricerca clinica, medicina preventiva e non condivide le sperimentazioni su animali) – che nel novembre 2009 aveva presentato una petizione affinchè il governo federale bloccasse questi esperimenti che contrastavano le stesse leggi federali sul benessere degli animali – ha reso noto il comunicato ricevuto dal Brookhaven National Laboratory, il laboratorio dove le scimmie venivano bombardate per poi essere trasferiti al McLean Hospital, per le fasi successive del progetto.
La Nasa ha annullato tutti gli esperimenti a cui dovevano essere sottoposte le scimmie per questioni scientifiche ed etiche. “Bombardare di radizioni le scimmie vive è crudele e inutile dal punto di vista scientifico – afferma il dott. John J. Pippin, consigliere medico-scientifico del PCRM -. Sono lieto che il Dipartimento dell’Energia abbia annullato questi esperimenti errati”.
Con il finanziamento del Dipartimento dell’Energia Usa, le scimmie, infatti, sarebbero state colpite da basse dosi di radiazioni con immense sofferenze successive alle esposizioni, causa anche di tumori mortali, e studiati dai ricercatori. In particolare bisognava tenere in considerazione le reazioni del sistema nervoso centrale e i cambiamenti del comportamento nel corso del lungo periodo.
Questi primati, molto intelligenti e dotati di un’alta capacità di socializzazione, sarebbero stati poi confinati in solitudine in gabbie di metallo per almeno 4 anni e sarebbero stati tenuti ogni giorno in apparecchi di contenzione.
“Peccato” che ogni specie sia biologicamente diversa dalle altre, per cui i risultati dalle sperimentazioni effettuate sulle scimmie non sarebbero stati utilizzabili per l’uomo. “Peccato” pure che anni e anni di esperimenti di irradiazioni sulle scimmie non abbiano prodotto niente di utile per i programmi spaziali!
Ora, finalmente, la Nasa sta rivedendo i progetti di ricerca sui voli spaziali con persone a bordo. Secondo il dott. Pippin, gli 1,75 milioni di dollari spesi per questi esperimenti sarebbero stati più adatti alla ricerca di metodi relativi agli esseri umani. Studi in corso finanziati dalla Nasa e dal Dipartimento dell’Energia usano metodi senza animali per stabilire gli effetti delle radiazioni sull’uomo così come sono numerosissimi i dati provenienti da decenni di voli spaziali umani.
Ma, sempre dagli studi Nasa per le spedizioni su Marte, arriva una OTTIMA notizia.
Un team coordinato dalla scienziata Maya Cooper (ricercatrice presso la Lockheed Martin e capo del progetto per il nuovo menu vegan) dovrà definire un menu che andrà ad alimentare 6-8 astronauti i quali rimarranno in missione per due anni e mezzo (sei mesi di viaggio verso Marte, 18 mesi di permanenza sul pianeta rosso, e altri sei mesi di viaggio di ritorno verso la Terra)
Circa 100 ricette vegane sono state selezionate, in base alla loro adattabilità alla realizzazione nello spazio, dopo la consultazione di numerosi libri di cucina vegan. Verranno poi preparate e successivamente liofilizzate, garantendo così alle porzioni una durata minima stimata in 2 anni.
La squadra di Cooper ha perciò scaricato carne, uova e latte considerando che sono troppo difficili da utilizzare in un viaggio così lungo. Il menu deve non solo essere sano e nutriente, ma fornire abbastanza varietà e sapore. Comprende cibo come tofu e noci, la classica pizza al pomodoro e la ‘thai pizza’ una pizza thailandese che non ha il formaggio, ma è farcita con carote, peperoni rossi, funghi, scalogno, arachidi e una salsa piccante fatta in casa.
I ricercatori stanno anche lavorando sul concetto di una “serra marziana ” – un “giardino idroponico” – , che permetterebbe agli astronauti di coltivare le verdure per preparare i pasti essi stessi cucinare.
“Questo menu è vantaggioso in quanto permette agli astronauti di avere effettivamente le piante vive che stanno crescendo”, dice Maya Cooper. “Ha un ottimale apporto di nutrienti a base di frutta e verdura fresca”.
E a noi piace anche perché poi i medici di tutto il mondo non potranno più dire che la dieta vegan non è completa. Se riescono a sfamare dei marcantoni per due anni!!!!!
QUESTI POVERI ANIMALI VENGONO USATI COME CAVIE PER I LORO ESPERIMENTI…COME SI FA A LEGERE UNA AGNETTA O UNA SCIMMIA GUARDANDOLA NEGLI OCCHI E LEGGENDO IL TERRORE CHE UCCIDE GIà A META’? MA A ME VIENE SOLO DA VOMITARE, CRUDELI SENZA CUORE. MANDATECI I VOSTRI FIGLI SULLO SPAZIO, OPPURE ANDATE VOI A SCHIANTARVI CONTRO UN ALTRO PIANETA.