Giuseppe Garibaldi può essere considerato un antesignano del moderno animalista. Certo ai nostri occhi di persone del XXI secolo la sua condotta e le sue scelte (ad esempio fu vegetariano solo per periodi della sua vita, a quanto si sa) ci parrebbero insufficiente, ma collocate nel suo tempo di uomo dell’Ottocento, il pensiero elaborato dall’Eroe dei due mondi sulla questione animale non appare affatto banale.
Il primo elemento da considerare è la sua partecipazione, come cofondatore, alla nascita della Società protettrice degli animali nel 1871, in sostanza la prima associazione animalista nata in Italia. Francesco Ghidetti, studioso di garibaldi, ci ha ricordato vari episodi della vita del Generale legati agli animali: dal suo rifiuto di mangiare l’agnello a bordo della nave con la quale navigava verso Odessa nel 1833, alle considerazioni espresse in questo passo di memorie sudamericane:
“Quanto è bello lo stallone della Pampa! Le sue labbra non sentirono giammai il freddo ribrezzo del freno e la lucidissima schiena, giammai calcata dal fetido sedere dell’uomo, brilla allo splendore del sole quanto un diamante. La sua splendida ma non pettinata criniera batte i fianchi, quando il superbo, raccogliendo le sparse giumente o fuggendo la persecuzione dell’uomo avanza la velocità del vento. Il naturale suo calzare, non mai imbrattato nella stalla dell’uomo, è più lucido dell’avorio, e la ricchissima cosa svolazza al soffio del pampero (il vento delle Pampas) riparando il generoso animale del disturbo degli insetti”.
Fra vari altri aneddoti merita di essere menzionato lo scandalo suscitato in Garibaldi dalle istruzioni impartite nelle scuole dei gesuiti. Dice Ghidetti:
“L’anticlericalismo di Garibaldi (cui si contrapponeva un profondo spirito religioso) trovò una delle sua basi anche nel trattamento che la Chiesa riservava agli animali. Al clero e al rifiuto dell’evoluzionismo imputava la responsabilità delle violenze – come nota Corrado Felice Besozzi – e della brutalità cui erano sottoposti gli animali. Nel mirino del Generale c’erano in particolare i gesuiti. Non casualmente. Essi, infatti, per dimostrare che gli animali non avevano anima ricorrevano a un semplice esperimento: colpivano un oggetto di metallo con un altro oggetto sostenendo che i suoni emessi fossero identici ai lamenti degli animali quando venivano picchiati”.
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