“Natura infranta. Dalla domesticazione alla liberazione animale” è un piccolo quanto denso libretto di Massimo Filippi, pubblicato dall’editore Ortica.
Filippi si concentra sul concetto di Natura, spesso usato a sproposito e con l’intento di giustificare come “naturale” ciò che invece è frutto di rapporti di forza e relazione di poetere. Filippi scrive che “con la domesticazione si è aperta una ferita nella comunità dei coscienti” e mette in guardia sulla diffusa dicotomia fra Natura e Cultura.
Dice Filippi: “Non esiste uno stato di natura che giustifica scelte e comportamenti (“è naturale che sia così”), ma esiste piuttosto una storia naturale. In questo gli animali giocano un ruolo chiave. Con la domesticazione si creano società stanziali che producono una stratificazione in classi e un “prelievo” sempre maggiore dalla natura per sostenere società dissipative, società nelle quali siamo tuttora immersi. Da qui nasce la necessità di avere un apparato ideologoco e simbolico che allontani l’umano dall’animale in modo giustificare questa nuova condizione e lo sfruttamento degli animali. Ricordo che il termine stesso capitalismo deriva da caput, cioè capo di bestiame”.
Per Filippi lo specismo è “l’oppressione dell’altro in quanto tale”, e non una semplice aggiunta ad altre forme di discriminazione come razzismo e sessimo. “L’antispecismo non è un pregiudizio ma una giustificazione teorica di un’oppressione che assume forme diverse nel corso del tempo. Lo sfruttamento e la svalutazione dell’altro animale ci offre un punto di vista privilegiato per guardare il funzionamento della macchina sociale e le modalità in cui l’oppressione si manifesta nel corso della storia”.
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