“Vegetariano” è un vocabolo nobile, che evoca alti sentimenti e un’attitudine gentile. Ma è anche una parola che oggi è fonte di forti controversie e di non poco astio, per via delle ambiguità che qualificano il suo significato corrente, fermo restando che l’astio è anche il frutto di… un eccesso di agonismo.
Quale sia l’ambiguità è presto detto. Vegetariano, sia come sostantivo, sia come aggettivo, indica qualcuno o qualcosa che si caratterizza per l’esclusiva attinenza al mondo vegetale. E’ questa l’origine della parola, la cui comparsa nella lingua italiana, secondo i dizionari etimologici, risale alla seconda metà dell’ottocento, per affermarsi poi all’inizio del XX secolo. Ma per vegetariano, oggi, si intende chi segue il vegetarianismo, o vegetarismo, cioè un regime alimentare, citiamo dal “Devoto Oli”, “che esclude l’uso di alimenti animali (carne, ma in alcuni casi anche latte, burro uova)”. Ecco dunque lo slittamento. Non si parla più di alimentazione esclusivamente vegetale ma si apre la porta ai derivati animali.
Difficile negare che ci sia un po’ di confusione. Lo stesso Devoto Oli che definisce l’aggettivo vegetariano come “Costituito esclusivamente di alimenti vegetali”, quando passa al sostantivo prima ribadisce il concetto “Vegetariano, sostantivo maschile, Che limita la propria alimentazione a cibi vegetali”, poi aggiunge uno sviluppo, “secondo i principi del vegetarianismo”, che apre alle ambiguità appena dette.
Oggi dunque il vocabolo vegetariano indica chi segue un regime alimentare che andrebbe in realtà definito lacto-ovo-vegeteriano, sommando cioè tre elementi: i vegetali, le uova, i prodotti caseari. Ma lacto e ovo sono stati come inghiottiti dal termine prevalente, appunto la parola vegetariano, che ha avuto un’indubbia fortuna ma che oggi suscita grandi insofferenze.
Dal 1944 in poi, anno di nascita della Vegan society in Inghilterra, da una costola guarda caso della vegetarian society, una nuova parola – vegan in inglese, vegano in italiano – sostituisce di fatto l’originaria accezione di vegetariano. Il termine vegano, per questa sua particolare origine, ha natura antagonista rispetto a vegetariano e in qualche modo ne denuncia l’ambiguità, se non la falsità concettuale.
Gli attriti fra attivisti vegani e attivisti vegetariani sono tuttora molto vivi e… vegeti e il clima di scontro tende a prevalere su ciò che gli uni e gli altri hanno in comune: il rifiuto della carne, una scelta che va nella direzione del rispetto degli animali (fermo restando che i vegetariani si fermano in realtà a metà strada, chi per scarsa conoscenza della filiera del latte e delle uova, chi per… eccesso di prudenza).
Alla fine degli anni ’50, Aldo Capitini ed altri fondarono la prima Società vegetariana italiana: erano veri pionieri, perché davano spessore culturale e politico alla “questione animale”, all’epoca del tutto ignorata, e la declinavano anche nell’ottica dei comportamenti quotidiani, accogliendo in questo la lezione di Gandhi: “Sii il cambiamento che desideri anche per gli altri”.
Capitini e suoi compagni di avventura a quel tempo non si curarono granché della questione dei derivati animali, forse non conoscevano la Vegan Society: erano mossi, principalmente, da una visione filosofica e politica, la nonviolenza, e arrivavano al vegetarismo – così lo chiamavano – da neofiti.
E’ possibile immaginare, con un’operazione di fanta-storia, che Capitini e gli altri, se avessero agito ai nostri tempi, grazie al cammino compiuto nel frattempo e alle conoscenze disponibili, avrebbero chiamato “Società vegana” la loro associazione, ma questa è solo un’illazione.
Ogni vocabolo ha una sua storia, può vivere trasformazioni e correzioni di significato: chissà che un giorno il termine vegetariano non riacquisti il suo significato originario, cioè di esclusiva attinenza al mondo vegetale, ciò che ora si intende per vegano.
Alla fine un pensiero malizioso: ma perché non ci siamo tenuti quella bellissima parola che per un lungo periodo ha indicato tutti quelli che si nutrivano senza infliggere sofferenza e morte ad esseri viventi. E’ la parola “pitagorico” che nel 1773, ben prima che si cominciasse a parlare di vegetariani, veniva definivatcosì: “Il vitto pitagorico consiste in erbe fresche, radiche, fuori, frutta, semi e tutto ciò che dalla terra si produce per nostro nutrimento. Vien detto pitagorico, poiché Pitagora, com’è tradizione, di questi prodotti della terra soltanto fece uso”.
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