Enzo Maiorca ha imparato a nuotare a 4 anni e presto ha cominciato ad andare sott’acqua, anche se, per sua stessa ammissione, ha sempre avuto una gran paura del mare. Suggestionato dai record dei grandi apneisti, decide di entrare in competizione e si impegna con tutte le forze per strappare il titolo di “uomo che è andato più in profondità negli abissi marini”.
Nel 1960 tocca i -45 metri, e lo stesso anno i -49 metri. È l’inizio di una grande sfida tra l’uomo e il mare, che lo vedrà sulla scena per 16 anni, fino al 1976, anno in cui abbandona l’apnea.
Nel 1988, per le proprie figlie Patrizia e Rossana (entrambe celebri apneiste), raggiunge il suo ultimo record di -101 metri.
Vegetariano dichiarato, grande amante degli acquatici e difensore dei mari, è stato anche autore di alcuni libri. Enzo Maiorca racconta alla redazione di RESTIAMO ANIMALI un episodio, un incontro, che ha cambiato le sue abitudini e – più importante- che ha stravolto la sua prospettiva di animale umano…
TESTO DI UNA PARTE DELL’INTERVISTA A ENZO MAIORCA:
Enzo Maiorca: Nel Settembre 1967, ero un accanito pescatore subacqueo. Un giorno durante un’immersione ho sparato a una cernia che, colpita, si è arroccata dentro la sua tana e, con l’aiuto delle sue potenti mandibole, faceva resistenza sull’imboccatura da dentro, rendendo difficile l’estrazione anche tirando con tutte le sue forze. La cernia si dimostrò molto combattiva. La profondità era relativa perché ero a circa 14-15 metri di profondità ma lei era un pesce io ero un uomo, in un ambiente che non era il mio. E allora dopo aver lottato contro la cernia, da sconfitto, ho cercato di rendermi conto di come questa cernia fosse incastrata nella tana, e ho passato il dorso della mia mano destra facendolo scorrere lungo la sua gola, verso il suo ventre. A quel punto la cernia ha scagliato contro il palmo della mia mano il suo cuore, ed era un cuore che io ho sentito pulsare terrorizzato, impazzito dalla paura. Non mi era mai capitato di sentire un cuore di pesce terrorizzato, quella è stata la prima volta e quella volta ho capito che fino ad allora mi ero comportato da barbaro sul fondo del mare, perché avevo distribuito morte in un ambiente in cui la morte alligna abbondante però per necessità di sopravvivenza, io non dovevo sopravvivere con quella cernia perché il mio mangiare in superficie ce l’avevo, il mio cibo ce l’avevo, non mi serviva per vivere, per sopravvivere, era soltanto il gusto balordo di arrecare morte in un ambiente che io amavo e amo immensamente, il mare.
Se non avesse toccato il suo cuore come l’avrebbe sentita, percepita questa cernia? Cos’erano i pesci per lei?
Enzo Maiorca: Mi sarebbe stata perfettamente indifferente, la percepivo inserita in quell’ambiente splendido che allora era il mare, come bellezza. Nonostante questo io ero disponibile a sparare alla bellezza perché ero talmente accanito, nella mia vanità di uomo che doveva distribuire vita e morte sul fondo del mare, che non valutavo cosa fosse, era un animale da abbattere.
Io ritenevo allora che l’uomo in apnea fosse inferiore al pesce tant’è che io dicevo sempre che invidiavo ai pesci il divino dono delle branchie, ma in realtà coloro che erano in stato di inferiorità, nonostante le branchie, erano i pesci, perché l’uomo già allora aveva tali e tanti di quegli strumenti, che poteva far pagare ai mitici abitanti del mare la sua supremazia…
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