Madagascar è un kolossal dell’animazione e ha riempito le sale di mezzo mondo, Italia inclusa. E sono stata anche io incuriosita dal primo episodio di questo film che narra la storia di alcuni animali dello zoo di New York, della giraffa ipocondriaca Melman, del leone Alex, dell’ippopotamo Gloria, della zebra Marty che desidera una vita in natura, e di un gruppo di quattro pinguini che organizzano la fuga dallo zoo.
Moltitudini di genitori hanno portato i figli al cinema a vedere Madagascar convinti di compiere un’operazione educativa: i bambini amano gli animali e un film d’animazione realizzato con grandi mezzi ispira fiducia. E d’altra parte molti genitori portano i bambini allo zoo o al circo per farli avvicinare agli animali. Per far vedere loro come sono i grandi animali. Dimenticandosi, purtroppo, che quelli che sono rinchiusi là dentro hanno ormai ben poco a che vedere con i loro compagni liberi.
Madagascar è un film che trae in inganno. Al centro del film c’è un messaggio profondamente negativo: lo zoo è presentato come un luogo idilliaco, un mondo di felicità per gli animali che non devono fare alcuna fatica per guadagnarsi il cibo e possono così passare la loro giornata oziando. Paradossalmente la zebra Marty, l’unica che desidera vivere la ‘natura’ e la vita fuori dallo zoo, viene descritta come una folle perché vuole tornare ad una vita faticosa e pericolosa.
Divertentissime le riunioni notturne dei quattro protagonisti, peccato siano qualcosa che mai potrebbe accadere realmente perché negli zoo dalla chiusura pomeridiana fino al giorno successivo tutti gli animali considerati pericolosi sono rinchiusi nei reparti notturni. I leoni come Alex, animali crepuscolari, proprio nelle ore in cui naturalmente sono più attivi, vengono rinchiusi in spazi ben più limitati di quelli già di per sé ridicoli nei quali sono esposti al pubblico pagante. Alex è un leone nevrotico, impaurito da tutto quello che non sia il comfort dello zoo; peccato che in nessun momento si accenni al fatto che la causa di tanto disagio siamo proprio noi umani, responsabili della cattura e della prigionia a vita degli animali per il piacere di vederli rinchiusi in uno zoo. E’ ovvio che un animale nato in cattività perda le capacità di cacciare. Ma non è giusto e nemmeno divertente.
Un film di questo tipo potrebbe essere molto utile agli animali; sarebbe bastato accennare a quanto disagio, a quanta angoscia sottoponiamo animali maestosi come i leoni o le zebre che vengono sradicati dal loro habitat e costretti a vivere in condizioni climatiche assolutamente differenti da quelle naturali (ci si immagina che l’inverno nella savana sia diverso da quello a New York) sconvolgendone i cicli di vita per mero intrattenimento.
La descrizione dello zoo come un albergo a cinque stelle è profondamente fuorviante e comunque, per quanto ben curata sia una struttura, ed ammesso che la concezione che gli animali selvatici hanno del lusso sia la stessa che percepiamo noi, è pur sempre una struttura di reclusione.
L’alterazione della vera identità degli animali è il messaggio più pericoloso e deviante del film. Il leone che torna ai suoi istinti predatori una volta riacquistata la libertà diventa un mostro capace di divorarsi i suoi stessi amici (sempre più numerosi sono invece i casi di amicizia tra coppie predatore-preda). Di essa siamo solo noi umani i veri responsabili, e questa responsabilità viene del tutto cancellata dal film nel quale, come a riscattare il senso di colpa che il genere umano dovrebbe sentire verso il mondo animale, gli umani, sono invocati dagli animali stessi come loro protettori e salvatori.
I bambini alla fine ricevono una visione distorta della realtà che rafforza l’idea, purtroppo troppo diffusa, che l’uomo sia al centro dell’universo; fruitore e protettore di tutto e tutti. E in quanto tale in pieno diritto di fare qualsiasi cosa.
Discussion
No comments yet.