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04/11/2012 – Notizie: veterinario condannato per la morte di un cane

Se il cane muore per colpa della superficialità del veterinario, questo deve pagare non solo per i danni patrimoniali ma anche per quelli extrapatrimoniali.

Lo ha stabilito un giudice di pace di Dolo, in provincia di Venezia, nel caso di un labrador retriver di 7 anni di nome Camilla, morto per peritonite acuta causata dall’ingestione di ossa. Il giorno precedente il veterinario, senza nemmeno visitarla, le aveva prescritto solo un lassativo. La clinica veterinaria aveva fin da subito respinto le richieste di risarcimento del danno arrivate dal proprietario del cane, in quanto il danno non era considerato risarcibile.

Di idea opposta è stato invece il giudice di pace, che ha determinato il danno patrimoniale da risarcire, stimandolo nel prezzo pagato per l’acquisto dell’animale e necessario per un eventuale nuovo acquisto. Oltre a questo, il giudice ha ritenuto risarcibile anche il preteso danno morale. Dalla normativa in materia di tutela di animali, infatti, si ricava come lo Stato sia consapevole del particolare legame che si instaura tra animale e padrone, rapporto che non può essere limitato al solo profilo affettivo tra proprietario e bene. Pertanto non vi è dubbio che il rapporto tra animale e padrone debba inquadrarsi in quel tipo di attività realizzatrici della persona cui la stessa carta costituzionale, mostra di dare tutela. Per questo motivo il giudice di pace ha condannato la clinica veterinaria anche al pagamento di ulteriori 2.500 euro per danno non patrimoniale.

Come redazione di Restiamo Animali accogliamo con favore la sentenza che condanna un veterinario che con tanta faciloneria aveva liquidato un caso che avrebbe richiesto maggiori attenzioni, condannando a morte un cane che – forse – avrebbe potuto salvarsi.

Salutiamo inoltre come positivo il fatto che sia stato risarcito anche il danno non patrimoniale, quindi riconoscendo come danno alla persona e come impoverimento della sua vita di relazione.

Contemporaneamente però disapproviamo il fatto che – ancora una volta – quando si tratta di animali d’affezione si parli sempre di proprietà, di danno economico, di “bene” e di “attività realizzatrice della persona” relegando l’animale al rango di oggetto posseduto e non soggetto portatore di diritti.

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